Fughe, tregue e minacce
Mercoledì 14 maggio: indù in fuga dal Pakistan
A conferma che spesso le persecuzioni qualificate come religiose mentre sono etnico-politiche, in Pakistan a temere per la propria vita e le proprie libertà non sono solo i cristiani, ma anche gli indù. Si calcola in effetti che almeno 5 mila indù ogni anno lascino il Paese per l’India. Il flusso aumenta, perché aumentano gli atti di intimidazione, di profanazione e di violenza, in particolare nella regione del Sindh, la più densamente popolata da indù. Retaggio della divisione del 1948, la tensione indù-muslmana fa sì che migliaia di persone non riescano ad ottenere i visti per l’India e non siano nemmeno assistiti dall’Unhcr.
Giovedì 15 maggio: negoziati di pace in Myanmar
Sono cominciati a Myitgyna i colloqui di pace tra il governo del Myanmar e i rappresenti dell’Organizzazione per l’indipendenza del Kachin, sotto l’egida dell’Onu e del governo cinese. Un accordo è stato già raggiunto e riguarda la sospensione dei combattimenti. Il contenzioso riguarda soprattutto le risorse naturali della regione, ricca in particolare di giada e di prezioso legname. L’accordo prevede, secondo il ministro birmano Aung Min, delle misure per la protezione delle popolazioni civili.
Venerdì 16 maggio: Cina e Vietnam ai ferri corti
Le proteste anticinesi svoltesi in Vietnam, che a tratti sono state molto violente, come testimoniano i due morti e le centinaia di feriti, non hanno dissuaso Pechino dalla decisione di sfruttamento petrolifero delle acque contese del Mar cinese meridionale, attorno ad una serie di isolotti disabitati che i due Paesi reclamano come appartenenti al proprio territorio nazionale. Di mezzo si sono messi in qualche modo pure gli Stati Uniti, desiderosi di evitare che in quello specchio di mare strategico si scatenino conflitti inutili.
Sabato 17 maggio: droga in Colombia
Un accordo tra il governo di Bogotà e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) è stato siglato a proposito del traffico di droga. L’accordo, inserito nel piano di riconciliazione nazionale avviato nel 2012 a L’Avana, tende a controllare il traffico di droga che, soprattutto nel passato, aveva portato cospicui finanziamenti nelle casse delle stesse Farc. In cambio le Farc hanno chiesto e ottenuto dal governo un impegno strenuo per combattere la corruzione che sta minando la credibilità delle istituzioni stesse. Ma l’accordo non fa l’unanimità tra le forze politiche d’opposizione, che vedono nella firma una manovra del presidente uscente Juan Manuel Santos in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Domenica 18 maggio: i contadini honduregni
Una grande manifestazione di contadini è giunta pacificamente nella capitale Tegugigalpa per chiedere al governo di varare rapidamente una riforma agraria che possa salvare migliaia e migliaia di famiglie contadine dalla rovina dovuta alla crisi internazionale e all’obsolescenza dei mezzi a disposizione delle popolazioni rurali. Le manifestazioni dovrebbero proseguire finché non si muoverà qualcosa nelle sale del governo e del Parlamento. Un inizio di mandato assai drammatico per il nuovo presidente Juan Orlando Hernández, che ha sconfitto nelle elezioni dello scorso 24 novembre Xiomara Castro de Zelaya, moglie dell’ex presidente Manuel.
Lunedì 19 maggio: il palazzo di Pyongyang
Nella capitale nordcoreana è crollato nella notte un grande palazzo ancora in costruzione di 23 piani, già abitato però da più di cento famiglie. Non ci sono bilanci ufficiali della tragedia, ma si teme che sia molto elevato, visto che le autorità nordcoreane, contrariamente al solito, hanno chiesto scusa all’opinione pubblica, notando, tra l’altro, che il presidente Kim Jong Un «è rimasto in piedi tutta la notte per il dolore». Dalla televisione locale vengono accusati di irresponsabilità i funzionari statali incaricati di eseguire le indagini.
Martedì 20 maggio: condanne per la Politkovskaja
È arrivata la terza sentenza per l’assassinio di Anna Politkovskaja, avvenuto il 7 ottobre del 2006. Il ceceno Lom-Ali Gaitukayev è considerato l’organizzatore del delitto, assieme a suoi tre nipoti, Rustam, Ibraghim e Dzhabrail, oltre al poliziotto moscovita Serghej Khadzhikurbanov. La sentenza pare un po’ più veritiera delle precedenti, ma nulla viene ancora detto dei reali mandanti. La nebbia resta fitta su questa vicenda, che troppi addentellati sembra avere con certe frange del potere centrale moscovita insofferenti ai reportage della giornalista della Novaja Gazeta.