Fuga di cervelli: “Ritornerai”?
La conclusione dell’anno solare è sempre il momento per tirare le somme. I dati e le statistiche cominciano a riempire le pagine dei giornali, come quelli allarmanti sui giovani che stanno svuotando il Mezzogiorno di futuro e forza lavoro. Si può dire che da sempre, dall’Unità d’Italia in poi, il flusso migratorio da Sud a Nord non è mai smesso e, quindi, non si tratta di una nuova notizia.
Ad allarmare, però, è la previsione, lanciata dal rapporto Svimez, secondo cui entro il 2065 il Sud Italia sarà svuotato. Tenendo conto anche della crisi demografica (157 mila bambini nati nel 2018, 6 mila in meno del 2017), il panorama è preoccupante. Appare un fenomeno inarrestabile poiché dal 2000 ad oggi hanno abbandonato le loro città oltre 2 milioni di ragazzi fino a 34 anni. Giovani che per motivi di studio o di migliori prospettive lavorative raggiungono il settentrione, questa volta però, con l’allarmante disagio che un loro ritorno a casa potrebbe essere quasi impossibile.
Eppure a Sud esiste il fenomeno della “restanza”, legato prima di tutto alle radici di chi è nato. Il rapporto Svimez ricorda che entro il 2020 per il Mezzogiorno si prospetta un lieve aumento del Pil con lo 0,2%, ma ovviamente non può bastare: il Sud per raggiungere i livelli del Centro-Nord dovrebbe creare circa 3 milioni di posti di lavoro. Il bisogno di stabilità, di progettualità, che a volte obbliga a lasciare casa, con il concetto di “restanza” che si avvicina ad un senso di coraggio e di ridimensionamento dei propri sogni. Si sa che lo stile di vita del Sud ha ritmo diverso, oltre al consueto particolare senso di attaccamento alla propria famiglia. Spesso con questi sentimenti viaggiano i ragazzi, desiderosi di poter tornare a casa. Anzi quel sentimento di “restanza” è aumentato negli ultimi anni proprio con l’incremento di esperienze formative e lavorative altrove rispetto al luogo di nascita.
Da questi continui flussi di giovani, si percepisce come non ci siano molte possibilità di scelta per costruire il futuro: abbandonare la propria terra. È forte il senso di disorientamento circa il tema della fuga dei cervelli, che invita certamente a riflettere, come ricorda Daniele Geniale, autore del murale “Ritornerai?”, disegnato su una grande facciata di un palazzo della periferia di Andria, non molto distante da Bari: «La provocazione spero apra il dibattito sulla polarizzazione di un flusso che non si arresta e che sembra condannare il nostro Sud”. Il murale, realizzato grazie a un bando della Regione Puglia, infatti, rappresenta tutti quei ragazzi e ragazze dalle elevate capacità tecnologiche, sempre connessi con i loro smartphone, in attesa del treno o dell’autobus che li conduce lì dove è possibile dar forma i progetti di vita. Appoggiati sul proprio trolley, attendono l’ennesima partenza. È l’immagine che l’artista rappresenta attraverso una figura senza volto. Si tratta di un’immagine che comunica in modo oggettivo e diretto l’emigrazione giovanile, un fenomeno che tocca tante, troppe famiglie del Sud, ecco perché sul murale non è presente il volto. Proprio la mancanza del viso lascia ulteriori spazi per la riflessione sul problema della “fuga dei cervelli”. In quel profilo si possono rispecchiare centinaia di giovani e figli che viaggiano fluttuando tra distacco e stabilità. Geniale, commentando la sua opera, posizionata simbolicamente nei pressi delle fermate dei bus che portano tantissimi ragazzi a Nord, dice: «Non è detto che sul fenomeno migratorio vada assunto un approccio sentimentalista o romantico. Ci sta che la gente si sposti, cresca personalmente e di riflesso faccia crescere. Alla fine, se sta male una parte del tutto, è il tutto a risentirne; per questo non ha senso per uno Stato cullarsi su un Nord in crescita e un Sud in decrescita».
L’opera di street art, ormai da oltre un mese campeggia nella periferia andriese. Daniele Geniale descrive, così, la sua ispirazione per questo murale: «Dalle foto in bianco e nero anni ’50, dalle quali si capivano i sentimenti e le emozioni che i migranti del Mezzogiorno provavano, ad oggi non è cambiato un granché. Da qui, dalla mia città, dal Sud Italia, la gente continua ad andarsene sperando di tornare quando le cose saranno migliorate. Ogni bus, treno, auto o aereo preso per le mie innumerevoli partenze mi hanno spinto a cercare una risposta al solito quesito del ritorno. Io l’ho fatto e sono molto orgoglioso di aver avuto la possibilità di parlare di quello che migliaia di persone della mia terra vivono sulla propria pelle. Cambiano le pose, i generi, l’abbigliamento e i linguaggi, ma la realtà ci riporta alla solita sostanza. Da qui la gente va via senza sapere cosa ne sarà del proprio futuro. Questo muro è un pugno nello stomaco per tutta la comunità. A partire dai genitori, fino al gruppo degli amici. Spero possa essere un motivo di riflessione per tutti».
Probabilmente il più grande vincolo, in questo mondo composto da tante possibilità di scelta, legato al dubbio di riabbracciare i propri cari e rimettere piede nella propria terra, è proprio quel punto interrogativo: “Ritornerai?”.