Fronza: vitalizi sì alla riforma
Vitalizi sì, vitalizi no, vitalizi sì ma: il dibattito va avanti da anni, e dopo una prima riforma che ha abolito il vecchio assegno vitalizio nel 2012, sostituendolo con un sistema di tipo previdenziale basato sul sistema contributivo, la questione è tornata in auge con il disegno di legge attualmente in corso di approvazione.
Il ddl prevede che vengano equiparati a tale sistema anche i parlamentari eletti prima del 2012 che, con la disciplina attualmente in vigore, continuano a percepire il vecchio assegno. L’ammontare di tale “pensione” sarà calcolato secondo il sistema attualmente in vigore per qualsiasi cittadino in base ai contributi versati, e verrà corrisposto a partire dall’età pensionabile ai sensi della tanto contestata legge Fornero. Un bel cambiamento, che ha incontrato non pochi ostacoli sul suo percorso. Ne parliamo con Lucia Fronza Crepaz, ex parlamentare Dc/Pp per due legislature, che nel 2015 ha fatto la scelta di rinunciare al vitalizio.
Il disegno di legge sul ricalcolo dei vitalizi sta avendo un percorso più lento del previsto: dopo essere stato approvato alla Camera con una larga maggioranza, al Senato è stata invece negata la procedura d’urgenza e se ne riparlerà quindi dopo la pausa estiva. Non sono mancate critiche per il fatto che questa riforma andrebbe a toccare i diritti già acquisiti, introducendo il principio per cui ciò potrebbe essere in futuro fatto anche in altri casi che tocchino direttamente i cittadini. Quali sono i punti apprezzabili e quali le criticità?
Senza dubbio quello sulla revisione dei vitalizi era un percorso da completare. Finalmente, con l’ultima legislatura, si è usciti dal concetto di diritto acquisito per arrivare a parlare di privilegio, e questo lo dobbiamo anche al Movimento 5 Stelle. Un tempo magari, quando i parlamentari finivano per fare poi i funzionari di partito e i partiti esercitavano davvero un ruolo di corpo intermedio tra istituzioni e società, il vitalizio poteva avere un senso come forma di finanziamento a questa attività, ma ora non più. Stiamo parlando di persone che hanno scelto volontariamente di mettersi a servizio della società e di farlo per un periodo di tempo definito, non a vita; per cui di fatto è diventato un privilegio, non un diritto che ci si è guadagnati. Certo qualsiasi ddl è sempre migliorabile, ma ritengo che questo riguardi appunto un percorso che è necessario concludere.
Lei al suo vitalizio ha rinunciato già nel 2015, devolvendolo al fondo regionale per il sostegno alla famiglia e all’occupazione. Quali sono state le ragioni che l’hanno condotta a questa scelta, e che bilancio ne trae a due anni da allora?
Innanzitutto è stata una decisione presa con la mia famiglia – marito, figli e nipoti –, cosa che ritengo ancor più vincolante dell’atto notarile in sé. Nessuno di loro, che pur avrebbero potuto beneficiare tramite me di quel denaro, ha avuto dubbi, soprattutto i più giovani: il che è un ulteriore segnale di come le nuove generazioni percepiscano i vitalizi come privilegio. A questo si è unito l’impegno dei miei colleghi di partito e della Regione per costituire il fondo pubblico a sostegno della famiglia e dell’occupazione, del cui operato mi sento di trarre un bilancio positivo: magari altri ex parlamentari in altre regioni avrebbero fatto la stessa scelta di devolvere il vitalizio, se ci fosse stato un fondo analogo.
A questo proposito, ritengo che la situazione vada risolta a livello parlamentare: ad oggi non è possibile semplicemente rinunciare al vitalizio, al massimo lo si può destinare ad altri fini, per cui sarebbe utile che questo venisse sistematizzato. Inoltre, prestando io servizio come formatrice politica, per me era ancora più doveroso fare questa scelta: come avrei potuto parlare di democrazia partecipata, di servizio allo Stato e ai cittadini, di patto da riscrivere tra cittadini e istituzioni, percependo allo stesso tempo quel vitalizio da 3000 euro mensili e per di più in un’epoca di crisi? Dovevo e devo far corrispondere le parole ai fatti.
I vitalizi alla classe politica sembrano essere in testa alla classifica dei “privilegi ingiusti”, o percepiti come tali, contribuendo così a creare quella distanza tra cittadini e politica che oggi tanto si lamenta. Riformarli o abolirli in toto davvero potrebbe contribuire a ricucire questa spaccatura, o rimarrebbe poco più che un atto simbolico?
Può aiutare, anche se chiaramente le ragioni della sfiducia e della lontananza tra cittadini e istituzioni sono ben più complesse – basti dire che nemmeno un disegno di legge di iniziativa popolare è mai stato discusso in Parlamento, il che è significativo. Si tratta di ripensare la democrazia in termini partecipativi – già ci sono leggi regionali che favoriscono la condivisione delle decisioni tra cittadini e istituzioni locali in Toscana e in Emilia Romagna, comuni impegnati con il Regolamenti dei beni comuni e bilancio partecipativo –, perché i cittadini se coinvolti sono davvero capaci di dare idee per il loro territorio.
Non si tratta di sostituirsi a chi è stato eletto, ma di contribuire affinché gli eletti possano amministrare al meglio. Quel che serve davvero è un nuovo patto tra cittadini e cittadini-politici per rifondare il rapporto attraverso percorsi comuni, anche conflittuali, esigenti, capaci di ricostruire reciprocamente la fiducia. Oggi è il momento dell’impegno per un cammino comune volto a dare un segnale forte di unità tra noi per il bene dei concittadini in difficoltà. Per me a cominciare dalla rinuncia di un privilegio; per tutti noi, nel continuare un lavoro lento ma fondamentale di ricostruzione della coesione sociale.