Friuli, una vittoria in sordina
Si dice che Trieste sia la città dei caffè – i locali, non la bevanda – e che i bar siano il luogo migliore per cogliere gli umori della gente ascoltando le chiacchiere attorno ad una tazzina di “nero” (come qui viene chiamato il caffè liscio): ma chi volesse captare qualche commento sulle elezioni regionali all'alba del giorno dopo, rimarrebbe deluso. Se non fosse per i – pochi – manifesti elettorali ancora affissi e per le prime pagine dei giornali, nemmeno ci si renderebbe conto che è stato appena eletto il nuovo governatore, Debora Serracchiani, con un risultato che in casa Pd ha fatto gridare al ribaltone “nonostante Roma” – ossia le travagliate vicende della politica nazionale.
Eppure i numeri smentiscono questa lettura, e spiegano la quiete dopo quella che, in fin dei conti, non è stata una tempesta. Dopo una campagna elettorale in sordina – eccezion fatta per il tour in camper di Grillo e il contestato comizio di Berlusconi a Udine, a sostegno dei rispettivi candidati – e un'affluenza alle urne al minimo storico del 50 per cento, parlare di trionfo di una parte sull'altra è quantomeno improprio: solo duemila i voti di scarto tra la Serracchiani e il governatore uscente Renzo Tondo, che hanno ottenuto rispettivamente il 39 e il 39,4 per cento. Nemmeno il candidato del Movimento 5 Stelle, Saverio Galluccio, ha fatto faville – il 19,2 per cento – mentre all'indipendente Franco Bandelli è rimasto il 2,4 per cento. Dimezzate queste percentuali, e otterrete qual è il sostegno effettivo a questi nomi rapportato all'intera popolazione.
Se l'appoggio alla Serracchiani non è variato significativamente attraverso il territorio regionale, Tondo ha pagato pesantemente a Trieste, dove ha raggiunto a stento il 30 per cento: una conferma delle differenze anche profonde tra il Friuli e il capoluogo giuliano, che ha infatti visto Galluccio salire oltre il 22 per cento e Bandelli quasi al 7. Il governatore sceso dalla Carnia a “moralizzare” Trieste pare quindi non essere riuscito a convincere oltre il suo Friuli, dove infatti si è imposto sulla sfidante del Pd arrivando anche al 42 per cento in alcuni collegi. Consensi comunque non bulgari, specie se letti alla luce della bassa affluenza, che confermano scarso entusiasmo.
Una politica fortemente incentrata sul territorio – anche a costo di controversi accordi, come il patto Tondo-Tremonti, per mantenere in regione parte delle entrate fiscali – non ha quindi garantito la riconferma all'ex governatore; ma nemmeno la Serracchiani, che con il motto, «Torniamo ad essere speciali», ha proposto una lettura diversa dell'autonomia, è riuscita ad accendere gli animi di una regione che chiede con forza che venga tenuta in maggiore considerazione la sua condizione particolare di zona di confine, sull'esempio di Trentino e Alto Adige. Una scarsa fiducia, probabilmente, sul fatto che lo scenario politico attuale possa dare una risposta al problema delle aziende che si spostano in Austria o in Slovenia per sfuggire all'alta pressione fiscale o semplicemente alla burocrazia macchinosa, o alle sfide sia economiche che culturali poste dalla vicinanza con l'area balcanica.