Fraternità episcopale

70 vescovi di 40 nazioni per riscoprire i disegni di Dio sull’umanità.
Vescovi

Sì, ricordavo Carlos, un amico spagnolo che non vedevo più da 30 anni. Quando lo incrocio in clergyman nel Centro Mariapoli di Castelgandolfo, non so se è un monsignore, un vescovo o cos’altro. «Come la devo chiamare – gli chiedo –, eccellenza?». «Mi hanno nominato arcivescovo – risponde –, ma sono sempre Carlos». Nella dimensione della fraternità ci sta.

 

È questo spirito di comunione, amicizia e semplicità che si respira tra gli oltre 70 vescovi e cardinali, provenienti da 40 nazioni, riuniti per il 35esimo convegno dei vescovi amici dei Focolari. Dall’8 all’11 febbraio hanno discusso, scambiato esperienze, ascoltato interventi per approfondire il tema: “Riscoprire i disegni di Dio nell’oggi”.

«È la prima volta che partecipo – dice mons. Ghaled Bader, arcivescovo di Algeri – e quello che più mi ha colpito sono le testimonianze date dai laici per la loro radicalità nel vivere il Vangelo e tendere alla santità nella vita quotidiana. Inoltre, incontrarsi con altri vescovi, conoscersi, sapere che sei sostenuto da altri confratelli nell’episcopato aiuta anche a trovare l’universalità della Chiesa».

 

In Algeria la situazione è dura, non è facile avere i visti per entrare nel Paese e il culto è, dal 2006, consentito solo all’interno degli edifici religiosi; ma «dalla gente siamo benvoluti ed è desiderata la nostra presenza. Sono stupito che i Focolari riescono ad organizzare dei convegni solo per musulmani proponendo dei valori fondamentali per una convivenza multietnica e multireligiosa».

 

Mons. Lucio Lemmo è da poco vescovo ausiliare di Napoli. Da giovane suonava la batteria nei complessini dei giovani dei Focolari ed è stato scelto per questo incarico «perché uomo di comunione». «La formazione e l’esperienza che ho ricevuto – mi dice – mi hanno plasmato uno stile di vita. Diventato vescovo non è cambiato nulla: cercare di immedesimarmi con i problemi degli altri, saper ascoltare è il mio pane quotidiano. Cambiano gli incarichi, ma non cambi tu».

 

Uno dei momenti più alti e significativi è stato il patto di amore scambievole formulato da tutti i vescovi presenti con l’impegno a vivere ognuno per l’altro, pregare per i problemi della altrui diocesi per una vera reciprocità e collegialità.

«Condividere le preoccupazioni – dice Christoph Hegge, vescovo ausiliare di Münster, in Germania – e le difficoltà di un altro vescovo ha creato un’autentica fraternità tra noi e camminare con il Risorto è stato il timbro di questi giorni. Resteremo in contatto tramite i mezzi di comunicazione e incontri regionali per continuare a sostenerci e uscire dalla solitudine in cui alcuni di noi si trovano nella quotidianità».

Aurelio Molè

 

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L’intercultura

 

Tra gli interventi più attesi, quello del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura.

 

Quali le principali sfide culturali di oggi?

«Ciò che dobbiamo fare è passare dalla multiculturalità all’interculturalità. Esempio emblematico della prima è una città come New York dove esistono molte aree con identità culturali diversissime che non comunicano tra di loro. La tendenza attuale è passare all’interculturalità con l’introduzione del dialogo tra culture diverse senza per questo perdere la propria identità. Il dialogo, come dice questa bella parola greca, suppone il rapporto tra due logoi. Il che significa che l’interculturalità non ha come meta l’identificazione, la costruzione di un’unica società globalizzata, ma costruire una convivenza culturale, un confronto che non sia scontro».

 

Che contributo possono dare le comunità ecclesiali e i Focolari a questo dialogo?

«Per fare un solo esempio proporrei l’iniziativa che si chiama “Il cortile dei gentili”evocando uno spazio del tempio di Gerusalemme dove potevano accedere i non credenti. I gentili erano coloro che gli ebrei consideravano gli atei di allora, anche se non lo erano. Ora noi questo dialogo, come Pontificio consiglio della cultura, lo costruiamo con le diocesi che interrogano la cultura laica; ma c’è bisogno anche di un certo rigore e continuità. Per questo abbiamo voluto coinvolgere i Focolari, perché attraverso l’ambito della riflessione culturale e teologica ci sia almeno la possibilità di un ascolto. Siamo, forse, su percorsi paralleli e differenti con i non credenti, però desideriamo che ognuno non rimanga chiuso nel suo perimetro e nella sua autoreferenzialità, parlando il proprio linguaggio, pensando solo a sé stessi, ma ognuno tenda ad ascoltare e interloquire anche con la visione e la prospettiva dell’altro. I primi appuntamenti sono a Parigi e Bologna».

 

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Un nuovo paradigma

 

A margine del convegno, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei vescovi, ci ha rilasciato questa intervista.

 

Il convegno sottolinea la necessità anche per i vescovi di una spiritualità di comunione.

«La spiritualità di comunione è anche un’eco al Vaticano II che è incentrato sulla Chiesa mistero di comunione. Questa ispirazione è portata avanti dai Focolari in modo carismatico. Nella Chiesa tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri: i vescovi dei preti, i preti dei religiosi e dei laici. Formiamo una sola famiglia nell’amore di Dio condiviso. Questa mentalità deve andare avanti perché così la Chiesa diventa più attraente nel mondo per testimoniare il Vangelo».

 

Chi è il vescovo oggi?

«Il vescovo è innanzitutto un testimone della parola di Dio vivente che è Cristo. Il suo ministero è un ministero di unità, di riconciliazione e di annuncio con fiducia nella potenza della Parola di Dio che effonde lo spirito di comunione della Santissima Trinità. Nell’esortazione apostolica Verbum Domini si parla di un nuovo paradigma nel rapporto tra la Chiesa e la Parola in senso mariano, più contemplativo, più aperto al dono di Dio. Se la Chiesa con l’aiuto dei vescovi va nella direzione di questo nuovo paradigma, ci sarà una nuova primavera spirituale».

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