Fraternità e pace per l’unità dei popoli

Rimini, 22 giugno 2002
Chiara Lubich

Signor Sindaco,

Autorità civili e religiose,

Signore e Signori.

 

Fraternità, pace e unità, ecco tre parole tremendamente attuali su cui dovrei soffermarmi

Attuali perché, dopo il fatidico 11 settembre dell’altr’anno, la loro assoluta necessità è emersa, paradossalmente, nella coscienza di molti, come tre splendidi fiori sbocciati da una chiazza di sangue, come una speranza impensata da un immenso sconforto.

Quel che è successo quel giorno a tutti è noto.

Sgomento infinito negli USA e non solo.

Ma, ecco, da quel groviglio di dolore, da quella notte piombata in piena luce, apparire un fenomeno inconsueto: una gara di solidarietà mai vista: muri d’indifferenza sciolti in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa che allevi i dolori degli altri. New York è trasformata.

Così gli Stati Uniti, Paese multireligioso, multietnico, multiculturale, ha presentato al mondo, in una sua città, un modello di solidarietà, di unità.

È stato come se gli occhi di un popolo si fossero spalancati e avessero visto l’assoluta necessità che si instauri la fraternità e non solo fra gli americani.

Quest’esigenza poi è emersa in tutta la sua urgenza nei mesi successivi, quando si sono approfondite le varie possibili cause del terrorismo. Fra queste, fondamentale, quella dello squilibrio, sul nostro pianeta, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che ha reclamato maggior condivisione di beni. Cosa che non sarà possibile finché l’umanità non sia percorsa da un ardente desiderio e da un forte impegno di fraternità universale.

 

La fraternità universale non è un’idea di oggi. Essa è stata presente nelle menti di spiriti forti.

«La regola d’oro – diceva il Mahatma Gandhi – è di essere amici del mondo e considerare “una” tutta la famiglia umana»[1].

E a proposito di sé affermava:

 

La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. […] Ma, attraverso l’attuazione della libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini[2].

 

E Martin Luther King:

 

Ho il sogno che un giorno gli uomini […] si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli […]; (e) che la fraternità […] diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo[3].

 

Su questa linea, il Dalai Lama, a proposito di quanto è successo negli Stati Uniti, scriveva ai suoi:

 

Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. […] Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. […] Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra.

 

Ma chi ha indicato e portato la fraternità come dono essenziale all’umanità è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: «Padre, che tutti siano uno» (cf. Gv 17, 21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, introduce l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. E con ciò abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica.

L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto, “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo.

Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta.

Comunque

 

la lezione del ventesimo secolo – è stato detto – è che il futuro più umano passa attraverso l’accettazione del trinomio biblico (libertà, uguaglianza, fraternità) purificato dalle letture ideologizzate e riportato all’auscultazione dell’uomo […] che si riscopre co-umanità. […] L’elemento base del trinomio, sul piano della garanzia vitale, è la fraternità[4].

 

Oggi il mondo tende all’unità. L’unità è un segno dei tempi: molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Ma occorre precisare: oggi, il mondo tende a un’unità universale, a un’unità globale.

Ce lo fanno capire situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea.

I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi; tanto che, per esempio, nelle scelte personali di un giovane occidentale, può avere un peso decisivo ciò che accade in Asia o in Africa. Nessuno ci è più estraneo, perché lo “vediamo”, perché sappiamo di lui.

Inoltre, la globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, che non sono più separati fra di loro: ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi.

Ancora: esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme, che nessun popolo può affrontare separatamente dagli altri. Basti pensare ai grandi temi che coinvolgono la comunità internazionale in questo periodo: la questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani.

Oggi non è più l’epoca dei soli diritti individuali, né solo dei diritti sociali di una categoria: la nostra è l’epoca dei diritti e dei doveri dei popoli e dell’umanità.

Viviamo dunque in un mondo che davvero è diventato un villaggio: complesso e nuovo, ma un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo.

Ma, a differenza dei piccoli gruppi di una volta, non è ancora riuscita a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni mentre comprende la fondamentale unità. I concetti tradizionali di razza, religione, cultura Stato, si infrangono davanti alla complessità della situazione.

Ebbene, è proprio la fraternità la categoria di pensiero capace di abbracciare quell’unità e quella distinzione cui anela l’umanità contemporanea.

Lo stesso Giovanni Paolo II, parlando al Corpo Diplomatico il 10 gennaio 2000, ha eletto la fraternità a criterio di giudizio del secolo appena trascorso. Dopo avere sottolineato il grande progresso scientifico che ha caratterizzato il Novecento, si è chiesto: «Questo secolo è stato anche quello della fraternità?».

Egli ha sottolineato «l’azione perseverante di diplomatici saggi» nel tentativo di far emergere una vera «comunità di Nazioni»; indice, questo, di «una certa volontà di edificare un mondo fondato sulla fraternità, per stabilire, proteggere ed estendere la pace intorno a noi»[5].

 

La fraternità, dunque, è l’ideale di oggi.

Ma come farla fiorire? Come suscitare fraternità?

Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, ecc., non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare.

Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, ma che si farà evidente nel prossimo futuro, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di movimenti e comunità ecclesiali. E questo non solo in Paesi europei, ma ormai in tutto il mondo, come tante reti che collegano i popoli, le culture e le diversità. Quasi un segno che, cominciando dal nostro Continente, il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà[6], pur se ancora a livello di laboratorio. Sono movimenti moderni, sorti non solo nella Chiesa cattolica, avvolti in genere ancora nel silenzio, come tutte le cose nascenti vere e importanti, ma che esploderanno presto. Sono realtà meritevoli di grande e alta stima perché effetto non di programmazioni o progettualità umane, ma di doni, di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli.

Ora questi movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, ecc.

Sono venuti in piena luce appena tre anni fa, quando la Chiesa si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, coessenziale al primo. Aspetto che ha arricchito anche i secoli passati di movimenti spirituali (come, per un solo esempio, quello francescano) e delle più varie correnti di pensiero e di spiritualità, atte a riportare il popolo cristiano, spesso illanguidito e secolarizzato dal contatto col mondo, all’autenticità e alla radicalità del vangelo, capace sempre di dare un volto nuovo alla città terrena.

Questi movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Parecchi fra questi, in particolare, manifestano la forza dello Spirito nella capacità che hanno d’aprire tutti gli uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo.

 

Una di tali realtà è il Movimento dei Focolari che conta milioni di membri presenti in 182 nazioni. Esso – assieme a molte altre valide organizzazioni, iniziative, opere – porta in questa nostra epoca l’unità e la fraternità, dovunque. Dirò qualcosa di questo Movimento, che meglio conosco, ma come esempio fra tanti.

Quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto.

Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione nella quale la fraternità e la pace sono assicurate.

Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”. Questo dialogo coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa che verrà.

Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddhisti, indù, sikh, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile, questo, per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» (cf. Lc 6, 31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità.

Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un movimento buddhista moderno di Tokio, che conta sei milioni di membri. E con un altro movimento musulmano afroamericano di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze di fede, sempre da loro tanto desiderate, mentre noi apriamo alla loro amicizia le nostre Cittadelle.

Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più.

Ma da dove tale successo, che offre tanta speranza, in un solo nuovo Movimento?

Il segreto della sua riuscita sta in una nuova linea di condotta, assunta da milioni di persone che, ispirandosi fondamentalmente a princìpi cristiani – senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli presenti in altre fedi e culture – cerca di portare in questo mondo fraternità, pace e unità.

Si tratta della “spiritualità dell’unità”, personale e comunitaria insieme, attuale e moderna, presentata oggi dal Santo Padre Giovanni Paolo II, sotto il nome di “spiritualità di comunione”, a tutta la Chiesa, perché tutti la vivano.

Due sono i cardini principali di questa spiritualità.

Il primo è stato donato al primo gruppo di ragazze, quando, in una cantina per ripararsi dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, aprendo il Vangelo a caso, si sono trovate proprio di fronte alla solenne preghiera di Gesù rivolta al Padre prima di morire: «Padre santo […] che tutti siano una cosa sola» (cf. Gv 17, 11-21). Preghiera che chiede l’unità dei cristiani con Dio e fra loro, da estendersi poi a tutti e tutte, in una fraternità universale.

Il secondo cardine, Gesù crocifisso e abbandonato, è stato chiaro, per quelle ragazze, quando hanno approfondito il grido di Cristo in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46 e Mc 15, 34). Avevano capito infatti che Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, proprio per questo suo essere uomo s’era addossato anche tutte le nostre colpe, le nostre divisioni, le nostre sofferenze; e per questo il Padre aveva permesso che sentisse quel dolorosissimo abbandono.

Egli, però, con uno sforzo sovrumano, aveva superato questa tremenda prova e si era riabbandonato al Padre dicendo: «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46).

Per cui Gesù abbandonato, ma risorto all’Amore, è sempre stato per i membri del Movimento – ed ora non solo per essi – il modello, la chiave per ricomporre ogni genere di disunità, per sanare ogni trauma.

Così, amando Lui, si è concorso a unire singoli e brani di società, in ogni popolo, lavorando con ciò all’unità della famiglia umana.

Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi su su durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto Movimento dell’Unità al servizio del mondo. E ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti a diversi orientamenti politici.

Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politica nuove.

Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con tutti. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti nazionali e regionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati.

Lo scopo specifico del Movimento dell’Unità è dunque: aiutare e aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; per essa credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica.

Ora, in quali modi la fraternità aiuta il politico ad assolvere pienamente i propri compiti?

Posso rispondere soffermandomi su alcuni aspetti dell’amore fraterno vissuto in politica.

Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde a un’autentica vocazione, a una chiamata personale. Egli vuol dare risposta a un bisogno sociale, a un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde a una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel Movimento dell’Unità.

In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, che si comprenda l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi in cui si esprime. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore. Questo disegno, infatti, se risponde a una chiamata, a un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui.

Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di saper tacere per ascoltare tutti, anche gli avversari. È un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico.

Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta; dapprima, anche solo con un piccolo gesto, un saluto, ad esempio. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subìto un’interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico: amare per primi, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma che si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica, aiutando a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili.

La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune.

Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. È quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, per esempio durante la guerra per le isole Falkland-Malvine, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri argentini e i nostri inglesi: gesti che avevano un profondo significato politico.

 

Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio.

Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato o emarginato o tradito, al punto di essere tentato di lasciare?

Ebbene, è qui che viene in aiuto anche al politico il Cristo crocifisso che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46 e Mc 15, 34) ma che, riabbandonandosi al Padre, come è stato detto, ha superato il baratro e ha ricomposto ogni disunità.

Gesù abbandonato-risorto, infatti, se è l’immagine ideale di ogni uomo, lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. È questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è alta la vocazione politica. Ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente.

Questi sono i politici che il Movimento dell’Unità desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione recentemente iniziato sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”.

Il Movimento dell’Unità è impegnato anch’esso sul piano del dialogo.

Lo ha attuato, ad esempio, tra le opposte fazioni dei cattolici e dei protestanti nell’Irlanda del Nord, contribuendo a risultati politici di rilievo.

Ma dialogo, anche, tra parlamentari di diversi schieramenti, come sempre avviene quando alcuni dei nostri sono eletti in partiti diversi ma compongono, insieme, un’unica “cellula parlamentare”. La “cellula d’ambiente” è una delle nostre tipiche forme organizzative, che si costituisce quando dei membri del Movimento si trovano a operare nel medesimo luogo.

Dialogo, poi, tra governo e opposizione. Di questo abbiamo esperienza soprattutto nelle amministrazioni locali. I nostri che sono al governo riconoscono gli apporti positivi dell’opposizione e ne favoriscono il ruolo di controllo. L’opposizione è condotta allora attraverso una critica costruttiva, che non tende a intralciare l’operato del governo, ma a correggerlo per migliorarlo. In numerosissimi casi, l’unità tra i nostri, presenti da una parte e dall’altra, ha favorito la ricerca della soluzione migliore per la comunità, la quale viene pienamente garantita solo se governo e opposizione esercitano entrambi, al meglio, il proprio ruolo.

Il Movimento dell’Unità vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini sono affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola.

Giovanni Paolo II, parlando ai nostri giovani, diceva:

 

(Voi) volete scrutare il cammino che bisogna percorrere per raggiungere un “mondo unito£, nella consapevolezza che tale “ideale” va facendosi “storia”.

Davvero, questa sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. È la grande attesa degli uomini d’oggi. […] A tutti è domandato di educare la propria coscienza a sentimenti di rispettosa convivenza, di concordia, di fratellanza, giacché senza questi non è possibile attuare un vero cammino di unità e di pace[7].

 

Il papa ha detto questo prima dell’11 settembre. Ora il suo pensiero è senz’altro rafforzato dal gravissimo pericolo del terrorismo, che esige unità non solo fra gli uomini e le donne del nostro pianeta, ma fra i popoli come tali e i grandi che li governano.

Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre.

E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace.

Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi altri particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello, ancora, di Martin Luther King:

 

Oggi ho […] sognato che […] gli uomini muteranno le loro spade in aratri, e che le nazioni non insorgeranno più contro le nazioni, e la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. […] Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia[8].

 

Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno sia vicino.

Grazie, Signori tutti, dell’ascolto.

 

 

 

Summary

 

 

In June 2002, in a world lacerated by the wounds of international terrorism, Chiara Lubich proposes a reflection on fraternity and peace in view of unity between peoples. Only on the basis of the idea of a human family, as it is invoked by Jesus in the Gospel of John (17, 21), it is possible to draw human history beyond its fears. Unity is a sign of the times, signalled by a multiplicity of social and cultural phenomena. The challenge of globalisation calls on us to deepen the theme of unity. The Focolare Movement – given its spread throughout the world, its inclusion of persons of different social extractions and differing religious vocations, and its openness to dialogue with other churches, other faiths and various cultures – can indicate today, as in 2002, the path of fraternity in politics.

 

 



[1]C. Mantovano (ed.) In buona compagnia, Città Nuova, Roma 2001, p. 11.

[2] M.K. Gandhi, Antichi come le montagne, Edizioni di Comunità, Milano 1970, p. 162.

[3] M.L. King, Discorso della Vigilia di Natale 1967, Atlanta, cit. in Id, Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968.

[4] S. Palumbieri, “Homo planetarius”: un uomo nuovo per i tempi nuovi, in M. Mantovani – S. Thuruthiyil (edd.), Quale globalizzazione? L’uomo planetario alle soglie della mondialità,Las,Roma 2000, p. 245.

[5] Giovanni Paolo II, Discorso del Santo Padre in risposta agli auguri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 2000.

[6] Cf. A. Giordano, intervista rilasciata in occasione del Convegno teologico-pastorale sul tema: I Movimenti ecclesiali per la nuova evangelizzazione, Castel Gandolfo 26-28 giugno 2001.

[7] Giovanni Paolo II, Con il Movimento dei Focolari nel Palazzo dello Sport, 31 marzo 1990, in «La Traccia», 3 (1990), pp. 323-324.

[8] M.L. King, Discorso della Vigilia di Natale 1967, cit.

Nel giugno del 2002, in un mondo lacerato dalle ferite del terrorismo internazionale, Chiara Lubich propone una riflessione sulla fraternità e la pace in vista del raggiungimento dell’unità fra i popoli. Solo a partire dall’idea di famiglia umana, così come invocato da Gesù nel vangelo di Giovanni (17, 21), è possibile condurre la storia umana fuori dalle sue paure. L’unità è un segno dei tempi, segnalata da una molteplicità di fenomeni sociali e culturali. La sfida stessa della mondializzazione ne invoca l’approfondimento. Il Movimento dei Focolari, diffuso in tutto il mondo, composto da persone di diversa estrazione sociale e di diversa vocazione religiosa, aperto ai dialoghi con le altre chiese, le altre fedi e le diverse culture, può indicare - nel 2002 come nel 2015 - la strada della fraternità vissuta in politica.
NU XXXVII (2015/1) 217, pp. 9-20
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