Fratelli Origone, rivali, campioni

Sotto lo stesso tetto. Lo strano destino di Ivan e Simone Origone. Sugli sci a 250 km/h

Speed ski, chilometro lanciato, sci di velocità. Chiamatelo come volete: è lo sport non motorizzato su terra più veloce al mondo. Non è da tutti passare da 0 a 200 km/h in meno di 6 secondi e fare incetta di record e trofei. Simone e Ivan Origone, 37 e 29 anni, da Champoluc, Val d’Aosta, sono i dominatori indiscussi della disciplina.

 

Molti conoscono le tue vittorie. Come ti descriveresti agli occhi di uno sconosciuto?

Simone: Guida alpina, maestro di sci ed elisoccorritore con una grande passione per il chilometro lanciato che mi ha permesso di conquistare grandi risultati a livello internazionale.

Ivan: Un ragazzo di 29 anni che vive in montagna e che nella vita fa tante cose, una delle quali è il chilometro lanciato sugli sci, ma non solo. Faccio il maestro di sci e mi occupo di ristrutturazioni e riqualificazione di fienili e strutture di montagna.

 

Quando hai sentito il richiamo della neve? S.: Non c’è un episodio in particolare, un punto di svolta. Da ragazzino il castigo più brutto era il divieto d’andare a sciare. Non potrei vivere in un posto senza la neve. Mi piace “sentirla” anche per 6, 7 mesi l’anno. Per me anche solo il suo scricchiolio sotto la suola delle scarpe mi fa capire che la neve è l’elemento più bello che c’è in natura.

I.: In famiglia all’epoca sciavano tutti. Era naturale emulare gli altri. Vivere con la neve, giocare con la neve. Insomma la neve ha sempre fatto parte della mia vita.

 

C’è spazio per qualche altra “distrazione” oltre la neve e la montagna?

S.: Amo viaggiare. Posso dire d’aver visto mezzo mondo. Sembra un paradosso, ma anche il mare mi affascina molto. Ha la sua magia. Ricordo con piacere un bagno notturno sottocosta in Thailandia: il plancton illuminava l’oscurità delle acque.

I.: No. Mi sento da sempre sulla strada giusta. Non sento il bisogno di cercare altro.

 

Fratelli e avversari. Come si vive la rivalità e la contesa dello scettro mondiale tra le mura di casa?

S.: Non è facile e non è poi così bello come sembra. Per il pubblico il successo rimane sempre “in famiglia”, ma quando sei in gara l’avversario è avversario. Poche scuse. L’agonismo porta per definizione a surclassare l’avversario. Possono esserci nervi tesi e un po’ di tensione che si manifestano anche nei confronti di una persona a cui vuoi bene.

I.: Non è bello avere un rivale che è tuo fratello. È una questione delicata. Ci sono alcuni momenti in cui c’è il desiderio di festeggiare, ma non lo puoi fare per rispetto e delicatezza. C’è il rischio di mettere in ombra una persona che è legata a te.

 

Cos’è la paura?

S.: È un sentimento umano che tutti noi giustamente abbiamo. Ognuno trova la normalità in ciò che fa. Valentino Rossi una volta mi disse: «Sei matto ad andare a 250 km/h sugli sci». Io risposi: «No, sei tu folle ad andare a 350 km/h su una moto».

I.: Non è un sentimento che conosco quando scendo in pista. La paura è l’ansia che si frappone tra te e gli obiettivi che vuoi raggiungere.

 

La tua sconfitta più bella?

S.: Una sconfitta non è mai bella. Una domanda a cui faccio fatica a trovar risposta.

I.: Tutte le mie sconfitte sono belle perché mi hanno fatto crescere. Solo nel momento in cui conosci la sconfitta puoi apprezzare i successi. Vincere sempre non fa gustare il sapore della vittoria.

 

Alla gente che ti guarda sfrecciare a 250 km/h e dice: «Chi te lo fa fare?», tu cosa rispondi?

S.: Rispondo con la passione per questo sport.

I.: Ognuno di noi ha un proprio obiettivo. C’è chi punta ad essere un bravo amministratore delegato e c’è chi prova a battere un record. L’importante è raggiungere ciò che ci siamo prefissati.

 

L’avversario più duro da battere?

S.: Mio fratello Ivan.

I.: Mio fratello Simone su tutti. Quante battaglie!

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