I fratelli Karamazov di Mauri-Sturno
I fratelli Karamazov di Mauri-Sturno
È un romanzo cupo e disperato, che oscilla pericolosamente nell’incerto territorio in cui danzano avvinghiati Eros e Thanatos – dichiara il regista Matteo Tarasco −; è una storia assoluta, spietata, estrema, senza margini di riscatto, senza limiti, un duello tra uomini completamente sopraffatti dai nervi e avvinghiati in un’ineludibile legame economico. Con il rigore di un giudice istruttore, lo scrupolo di uno scienziato e l’insistenza di un investigatore, Fëdor Dostoevskij ci conduce in un viaggio negli abissi oscuri dell’animo umano, descrivendo un mondo che perde i suoi referenti culturali e svilisce i valori etici più profondi, un mondo ove l’interesse personale diviene la mozione primaria d’ogni atto, ove trionfa il soddisfacimento sfrenato del desiderio. L’ultimo romanzo di Dostoevskij ha la grandezza e la forza di un inferno dantesco, è una comédie humaine alla russa, dove bestie umane si agitano sulla scena del mondo, dove il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme. Glauco Mauri è il dissoluto e senza scrupoli Fëdor Pavlovic Karamazov, e Roberto Sturno dà voce e corpo a Ivàn Karamazov, il più intellettuale e tormentato dei fratelli. “I fratelli Karamazov”, di Fëdor Dostoevskij, regia Matteo Tarasco, e con Paolo Lorimer, Laurence Mazzoni, Pavel Zelinskiy, Luca Terracciano, Giulia Galiani, Alice Giroldini; scene Francesco Ghisu, costumi Chiara Aversano, musiche di Giovanni Zappalorto, luci di Alberto Biondi. A Roma, Teatro Eliseo, fino al 17/2. In tournée.
Enrico IV è Carlo Cecchi
Una pietra miliare del teatro del ‘900 con cui Carlo Cecchi affronta i grandi ed eterni temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà. Un classico smontato e rimontato dove la pazzia, l’arte e l’immaginazione s’impongono come unica realtà, uno spettacolo in cui a trionfare è il teatro nel teatro, e il teatro l’unico vero protagonista. Cecchi interviene con la sua regia, riducendo drasticamente la parte di Enrico IV per mettere in luce lo spessore drammatico degli altri personaggi, puntando sul gioco d’insieme. «La prima scena, quella dei consiglieri, immette immediatamente nel teatro: si tratta infatti di un provino che i tre fanno al nuovo arrivato; si gioca fra Pirandello e l’improvvisazione, entro dei limiti che non la conducano a quel teatro gratuito, arbitrario, delle cosiddette “attualizzazioni”». “Enrico IV”, di Luigi Pirandello, adattamento e regia Carlo Cecchi, con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, Chiara Mancuso, Remo Stella, Vincenzo Ferrera, Dario Caccuri, Edoardo Coen, Davide Giordano; scene Sergio Tramonti, costumi Nanà Cecchi, luci Camilla Piccioni. Produzione Marche Teatro. A Roma, Teatro Argentina, dal 12 al 24/2.
I Promessi Sposi secondo Michele Sinisi
È soprattutto uno studio sul mito, sull’archetipo, su ciò che ormai è diventato patrimonio dell’immaginario comune. «Mettere in scena uno dei pilastri della nostra cultura – scrive il regista e attore Michele Sinisi – significa assumersi la responsabilità di fare i conti con i grandi maestri del passato, ricreando quasi un rito collettivo». Diventato ormai un’icona, questo testo rivela ancora la sua straordinaria eccentricità, svelando un contenuto vivo, coinvolgente, ironico, a volte spietato. In questo allestimento Sinisi non intacca la forza narrativa di uno dei testi più celebri della letteratura italiana ma lavora sul romanzo, scegliendo alcuni capitoli e inserendo contaminazioni con la cultura pop, abiti moderni, richiami all’attualità, allusioni, tradimenti e incursioni meta teatrali. E così troviamo una Lucia sempre in fuga sui roller blade, un Fra Cristoforo clochard, una coppia di Bravi degni delle peggiori discoteche trash, un Don Rodrigo femminile in completo verde. “I Promessi Sposi”, di Alessandro Manzoni, adattamento e regia Michele Sinisi, scritto con Francesco M. Asselta, con Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’addario, Michele De Paola, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Michele Sinisi; scene Federico Biancalani, costumi GdF Studio. Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale. A Firenze, Teatro Cantiere Florida, il 19 e 20/2.
Assunta Spina
Il dramma di Di Giacomo del 1909 incarna uno dei personaggi femminili di maggiore spessore e peso della scena del ‘900, la cui vicenda nel corso dei decenni è stata narrata a teatro, al cinema, alla radio, alla televisione e all’Opera. «In Assunta Spina – scrive Pino Carbone nelle note – si intrecciano molte tematiche universali, senza tempo, che ancora ci appartengono. Una di queste è la complessità, la scomodità, l’inadeguatezza della giustizia. Non a caso il testo si apre in un tribunale, dove una serie di personaggi si affannano smarriti come in un labirinto burocratico, prima che l’autore ci conduca alla quinta sezione del tribunale, dove si sta svolgendo il processo che è già il cuore della vicenda». «Sullo sfondo di tutta l’opera – prosegue il regista – la grande contraddizione di una società che si autopercepisce e si autorappresenta come matriarcale, ma si comporta nei fatti da società patriarcale. L’intenzione è quella di affrontare il testo come una tragedia classica e trattare la lingua napoletana come si tratterebbe una lingua tragica. Assunta Spina contiene le passioni assolute tipiche di ogni tragedia: il tradimento, la sopraffazione, l’onore, l’abbandono, la vendetta, il sangue, la passione, fino al sacrificio finale della protagonista, che si immola di sua volontà come capro espiatorio».“Assunta Spina”, di Salvatore Di Giacomo, regia Pino Carbone, con Chiara Baffi, Alessandra Borgia, Anna Carla Broegg, Valentina Curatoli, Renato De Simone, Claudio Di Palma, Francesca Muoio, Alfonso Postiglione, Rita Russo; scene Luigi Ferrigno, costumi Annamaria Morelli, luci Cesare Accetta, musiche Marco Messina e Sacha Ricci. Produzione Stabile di Napoli-Teatro Nazionale A Napoli, Teatro San Ferdinando, fino al 17/2.
Un intervento di Mike Burtlett
Per la prima volta in Italia il testo del pluripremiato drammaturgo inglese Mike Burtlett. In scena due amici che la pensano in modo diverso su tante cose, ma che sanno che cosa significa discutere di questioni importanti. Lo spettacolo ci fa riflettere su quanto accade nel mondo mentre le nostre vite continuano apparentemente come sempre, fra amori, tradimenti, amicizie, piccoli egoismi quotidiani. “Un intervento” di Mike Burtlett, regia Fabrizio Arcuri, traduzione Jacopo Gassman, con Rita Maffei e Gabriele Benedetti, scene Luigina Tusini. Produzione CSS Udine. A Udine, Teatro Palamostre (allestimento site specific per la Sala Carmelo Bene) ogni giovedì, venerdì e sabato, ancora il 14, 15, 22/2, e il 9, 16, 21, 22; a Cervignano, Teatro Pasolini, il 27.