Fratelli e/o amici?
Contro l'imbarbarimento.
La stagione che viviamo, a livello culturale e politico, non aiuta a fissare la barra del nostro agire nella giusta direzione. Quella, voglio dire, che esprima coerenza voluta col Vangelo di Gesù e che insieme sia anche socialmente efficace.
Il fatto è che assistiamo troppo spesso – tanto da rischiare che ciò diventi costume – alla demonizzazione di chi la pensa diversamente, e che per questo motivo viene relegato nella sfera di coloro con cui si ritiene impossibile dialogare. Mentre, al contrario, atteggiamenti impegnativi e alti come la giustizia, la solidarietà e persino l’amore vengono svuotati del loro significato quando li si restringe, più o meno surrettiziamente, a chi sta dalla propria parte.
Siamo destinati ad assuefarci a questo progressivo imbarbarimento e a questa devastante banalizzazione, arrendendoci alla sua deprimente logica al ribasso?
No. Bisogna puntare in alto. Solo così diventa possibile riprendere con energia tra le mani la barra della nostra coscienza, umana e cristiana, e del nostro impegno, sociale e politico.
Noi – tutti, nessuno escluso, che piaccia o meno – siamo fratelli. È un dato oggettivo che, per chi crede in Gesù, ha radice nel fatto che il Figlio di Dio, prendendo la carne umana, si è fatto uno con ciascuno di noi. Lo afferma a chiare lettere il Vaticano II nella Gaudium et spes, rimettendo in luce una verità che brilla nelle pagine del Nuovo Testamento e che lungo i secoli è stata ribadita da tutti i grandi testimoni della tradizione cristiana.
La fraternità, se le cose stanno così, non è tanto un ideale. È un dono e un punto di partenza, non solo spirituale ma politico, non solo cristiano ma civile. La sfida – come ben si sa in ogni famiglia che si rispetti – è che l’essere fratelli ha da trasformarsi da semplice fatto a responsabilità consapevole ed esperienza felice. Deve cioè diventare amicizia.
Utopia? Non penso. Già Aristotele sottolineava che le città sono tenute insieme dall’amicizia, perché questa propriamente consiste nell’essere ricambiati quando si vuole il bene dell’altro.
Gesù, che ci fa fratelli abbattendo ogni muro di separazione, chiama i suoi non più “servi” ma “amici”. Senza dire che i primi cristiani hanno addirittura coniato un termine che fonde insieme fraternità e amicizia per esprimere la novità che sperimentano seguendo la via di Gesù: filadelfia.
È la fraternità che diventa amicizia, e che perciò diventa responsabilità etica e civile. Perché è ricerca e costruzione, sempre pagata a caro prezzo, di quel rapporto di reciproca benevolenza e matura condivisione che è il fondamento di ogni vera società.