Francia nel mirino
Ci si sveglia all’indomani della festa nazionale francese del 14 luglio e ci si ritrova sommersi da voci e immagini che raccontano il terrore, la carneficina, il divertimento interrotto. Come a Charlie Hebdo, come al Bataclan, come ieri sera alla Promenade des Anglais. Continua il tunnel terroristico che sta vivendo l’Europa, e la Francia in particolare.
L’autore della tuerie, della strage, è un franco-tunisino di 31 anni, già conosciuto alle forze di polizia, ma non ai servizi segreti. Il che vuol dire che era un piccolo delinquente, ma non un terrorista dichiarato. Come tanti altri, come troppi attentatori che hanno colpito a Parigi e Bruxelles. Sono attentati che talvolta hanno una struttura organizzativa chiara e solida alle spalle, ma che il più delle volte sono provocati da singoli o piccoli gruppi logisticamente separati gli uni dagli altri, che colpiscono quasi a caso, con il solo scopo di lasciare morti sul lastricato. E paura nell’opinione pubblica.
Non ci sono parole di condanna abbastanza forti per stigmatizzare quanto è successo a Nizza, appena terminati i fuochi d’artificio tradizionali che, in tutta la Francia, segnano la fine dei festeggiamenti per la Festa della Repubblica del 14 luglio, la festa della laicità, la festa dello Stato sovrano. Qualche anno fa avevo vissuto il 14 luglio alla Promenade des Anglais, una festa di popolo straordinariamente conviviale e libera. Perché il 14 luglio è “la” festa della Francia, un giorno in cui la gioia della vita privata diventa pubblica, il divertimento diventa collettivo, i valori repubblicani vengono celebrati. Certo non è un caso che il terrorista (o i terroristi, non ci sono certezze) abbia voluto colpire proprio in quest’occasione.
Le analisi si susseguono e sottolineano come il Daesh stia arretrando sul campo siro-iracheno: l’attentato di Nizza viene descritto come il colpo di coda di un mostro braccato. Si afferma pure che questi atti sono frutto della nuova strategia del Califfato, che invita i suoi adepti a colpire in modo autonomo e dovunque, senza “regia”.
Tutto vero, ci mancherebbe. Ma il malessere che ha provocato il terrorismo di matrice islamista è così profondo che non è possibile pensare di risolverlo solo con misure di polizia o “stato d’emergenza”. Serve continuare a prendere posizione contro la violenza. Serve un lavoro di emarginazione dei violenti in certi Paesi a maggioranza islamica. Serve rivedere certi modelli di integrazione in Europa. Serve una grande concertazione internazionale che coinvolga tutta la comunità internazionale. Serve un sostegno reale a quelle forze religiose islamiche che continuano a condannare il terrorismo. Serve una chiara presa di posizione internazionale contro quei Paesi che direttamente o indirettamente sostengono il terrorismo: non si dovrebbero più firmare contratti miliardari con questi santuari del radicalismo islamista. Serve pregare.