Francia, l’originalità irriducibile dei transalpini
Parlando dell’Esagono, cioè della Francia, non si può mai pensare che possa essere uguale agli altri Paesi europei. C’è sempre un zeste (un dettaglio) che rende i francesi unici e irripetibili. Irriducibili a uno. Guardiamo la legge sulle pensioni che tante proteste sta suscitando nelle piazze dei transalpini. Il presidente poco amato dai francesi Emmanuel Macron (che al primo turno delle presidenziali, vero e indiscutibile indice di gradimento dei suoi concittadini, ha avuto solo un quarto scarso dei voti espressi) ha proposto e sostenuto fino all’estremo la riforma che innalza l’età di uscita dal lavoro a 64 anni. La cosa strana è che il livello proposto è inferiore a quello esistente praticamente in tutti i Paesi europei. Era di 62 anni, ora è di 64, per di più solo tra 7 anni!
Non era la prima volta che Macron tentava una sortita del genere – anche i transalpini cominciano ad avare serissimi problemi di budget statale, con la prospettiva dell’innalzamento, odiato, delle tasse −, ma questa volta, visto anche che ormai è al secondo e ultimo mandato presidenziale, ha spinto l’acceleratore fino in fondo, approvando la legge secondo una procedura franco-francese come la “prerogativa presidenziale”, saltando la discussione parlamentare. Quello che preoccupa i francesi è che nella riforma macroniana il sistema di accesso alla pensione sarà più rigido e meno generoso di quello solitamente adottato in Europa: i lavoratori potranno infatti andare in pensione solo più tardi e per giunta con una notevole penalizzazione economica: solo a 65 anni e con 40 anni di contributi sarà possibile ottenere una contribuzione piena. In compenso, la pensione minima è stata innalzata a 1.200 euro.
In soldoni, la riforma delle pensioni cerca di incentivare chi decide di rimanere al lavoro anche oltre i 64 anni. Un meccanismo che probabilmente favorirà chi ha un lavoro non usurante, mentre danneggerà in misura maggiore operai e contadini. La spesa per le pensioni in rapporto al Pil è oggi pari al 14,8 % in Francia (meno dell’Italia che è al 16,8 per cento), mentre il tasso di sostituzione, cioè l’importo della pensione in rapporto all’ultimo stipendio percepito, è del 60% (in Italia il tasso varia grosso modo dal 70 % dei dipendenti al 50 % per gli autonomi).
Impressionano le manifestazioni di piazza – quando in Francia si tocca il portafoglio, sono dolori, vedi le manifestazioni dei privilegiati (in Europa) agricoltori transalpini −, ma non c’è da stupirsi più di tanto, anche perché vengono riprese le iniziative del movimento dei gilet jaune che tanto avevano fatto parlare di sé prima del Covid: bisognerà vedere nei prossimi giorni se la mobilitazione si manterrà ai livelli attuali, difficili comunque da mantenere, anche perché il privilegio dei francesi sulle pensioni rispetto alla media europea non può più essere nascosto.
Altro segno dell’irriducibile originalità dei francesi è la sentenza emessa dalla Cassazione di rifiutare la richiesta di estradizione di un gruppo di dieci terroristi di sinistra (Brigate Rosse, altro), tra cui Pietrostefani e Petrella, che si sono rifugiati in Francia dopo aver commesso atti gravissimi: assassini, ferimenti, rapine. Seguendo la cosiddetta “dottrina Mitterrand”, coloro che approdano in Francia perseguiti per reati legati alle loro scelte ideologiche vengono considerati rifugiati politici, al di là della gravità dei reati commessi. In pratica, la vita privata dei terroristi rossi rifugiatisi in Francia viene considerata più importante della vita privata delle vittime dei loro atti di terrorismo. Può sembrare strano che, ancor oggi, con un’Unione europea avanzata nel perseguire i reati commessi nel suo territorio, vi sia un tale scartamento dalla linea maestra perseguita dall’insieme dei Paesi europei. E ciò appare tanto più grave per il recentissimo processo contro gli attentatori del Bataclan che si è concluso con condanne “esemplari”.
Due pesi, due misure? Sia nella riforma delle pensioni che nella questione dei terroristi italiani? Giudicate voi. Certo è che la grandeur francese appare sempre più agli europei una sorta di petitesse. Ma la cultura francese vive di eccezioni e di eccessi, vive dello smarcamento rispetto alla norma vigente attorno ad essa. È una questione di identità, che lo si voglia o no.
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