Francia, la voglia di cambiare pur di cambiare

Al di là della vittoria al primo turno del presidente uscente, i risultati evidenziano un desiderio di mutare rotta. Ma da cosa a cosa? Verso dove? Nulla è meno chiaro…
Ap

La democrazia francese è considerata una delle più “mature” d’Europa. Frutto di una cultura libera, liberale e libertaria (a dosi modificabili a seconda delle epoche e dei leader), patisce la gravissima crisi di valori di base che sta invadendo tutto il Vecchio continente dopo la caduta del Muro di Berlino (non è solo la Russia ad essere entrata in crisi!), in una fase delicata del suo sviluppo, tra drammatiche crisi anagrafiche e belliche, in una forte incertezza politica e spirituale.

L’eclissi del pensiero giudeo-cristiano che ha sostanzialmente costruito l’Europa seppur col contributo di altre culture minoritarie − perché di eclissi si tratta, senza che un sostituto sia autorevolmente emerso −, cerca di nutrirsi di una cultura dei diritti umani (da quelli dei disabili a quelli degli animali, degli lgbt come dei no vax) piuttosto che di una cultura dei doveri (della solidarietà sociale in testa, dei partiti rappresentativi, di un’economia non solo legata al profitto…); ma tale cultura dei diritti da sola non può e non potrebbe sostenere una società.

(AP Photo/Francois Mori)

Così, nonostante gli sforzi titanici fatti da tanti, spesso in perfetta sincerità di motivazioni, la complessiva potenza culturale europea perde colpi dinanzi ai giganti cinese, indiano, africano e sudamericano. In effetti, non si avanza senza idee forti che permettano la coesione della società.

Ed ecco allora lo sbriciolamento del panorama politico, con la crisi epocale del Partito socialista e della tradizione gaullista, mentre emergono le estreme, quella di destra del duo Le Pen-Zammour e la sinistra del visionario Mélenchon. In mezzo sta Macron, che non si capisce bene se sia gaullista o piuttosto giscardiano, di destra o di sinistra, se sia vicino al popolo o ai poteri forti, se abbia reali valori (cristiani) o meno.

Emmanuel Macron sembra in ogni caso aver sposato un europeismo convinto in salsa vagamente merkeliana più che gaullista, sperando che tale movimento si riveli un valore in sé capace di sostenere un Paese potente come la Francia, un Paese che, lo ricordiamo, ha il diritto di veto all’Onu, possiede la bomba atomica e un residuo di tradizioni imperiali. Con alterna fortuna, va detto: l’Europa è stata in effetti la salvezza dei popoli europei durante la pandemia, ma ora a fatica cerca di restare unita nella grave crisi ucraina, mentre al suo interno i fattori disgreganti non sono certo stati messi a tacere, come indicano i risultati delle prime elezioni, quelle ungheresi con la debordante vittoria del premier Orban e, appunto, quelle francesi.

Fonte: Ap

I risultati sono ormai quelli veri, e non più quelli dei sondaggi: Macron ha quattro punti più della Le Pen, la quale passerà al secondo turno per la terza volta consecutiva, dopo che non pochi sondaggi la davano ancora più su, cioè testa a testa con il presidente uscente già nel primo turno, cosa poi smentita dai fatti. Dietro di loro, solo Mélenchon, leader della sinistra con qualche residuo utopista, si è fatto sentire, due punti appena dietro Marine. Il resto è un ammasso di cadaveri delle formazioni e dei campi tradizionalmente vincenti, e ora ridotti a figuranti di poco peso.

Fa impressione, leggendo i risultati, costatare la “schizofrenia” della politica francese, che in provincia vede i partiti tradizionali ancora saldamente in possesso dei comuni, dei département (le province) e delle regioni, mentre a livello nazionale tali formazioni politiche sono ridotte al lumicino, ombra delle grandi corazzate del passato.

Che succederà al secondo turno? Macron certamente non raccoglierà il 66 per cento dei consensi del 2017, ma probabilmente ce la farà a rimanere all’Eliseo, visto che Mélenchon non lo ha investito della sua successione nel cuore dei suoi votanti, ma almeno ha detto che «nessun voto passerà alla destra». I sondaggi dicono, però, che un elettore su cinque dei votanti di Mélenchon voterà la Le Pen. La quale potrà contare sui voti di Zemmour, un buon 7 per cento. Il che vorrà probabilmente dire che Macron vincerà solo di tre o quattro punti la battaglia elettorale. A meno che la voglia di cambiare pur di cambiare abbia la meglio sulla paura dell’avvenire guidati da una ex-estremista di destra che si è rifatta il look coi selfie e le foto dei suoi gatti.

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