Francesco, Xi, Matteo, Ignazio e VW Oltreatlantico
Primo, papa Bergoglio a Cuba. Incontra il senescente Fidel, gli regala qualche libro omiletico e poi gli lancia una bordata delle sue: «Si servono le persone, non le idee». Una tomba sul comunismo alla cubana, ma ancor più un messaggio agli Usa, perché il liberismo non vinca.
Secondo, Xi Jinping arriva anche lui negli Stati Uniti. La Cina sembra in crisi, i fondamentali vacillano, ma Pechino possiede circa il 18 per cento del debito Usa, quindi il legame tra le due potenze è troppo forte per non cercare una convivenza economica soddisfacente per entrambi i partner, che comunque si fanno tante guerre più o meno nascoste.
Terzo, Matteo Renzi anch’egli varca l’Atlantico pochi giorni dopo la sua fuga per assistere alla finale degli US Open tutta italiana. Va dai Clinton, dalla loro ricchissima fondazione, non si sa mai che la Hillary vinca le prossime elezioni.
Quarto, Ignazio Marino va dal papa, o meglio, su invito del sindaco di Filadelphia parteciperà alle cerimonie in onore di Bergoglio. Altri cinque giorni lontani dalle grane della capitale.
Quinto, il viaggio di mezzo milione di Volkswagen verso le rimesse Usa, ritirate per ordine delle autorità preposte al controllo delle emissioni delle auto, dopo che è stato provato che la fabbrica tedesca ha barato.
Non tutti i viaggi sono uguali. L’attrattiva fatale degli Stati Uniti colpisce in modo diverso i viaggiatori che si preparano al viaggio con bagagli diversissimi: Bergoglio ci va con la sua cartella nera di cuoio liso piena di preghiere, Xi Jinping con la 24 ore piena di soldi, Renzi con le sue tasche strette che contengono i suoi smartphone pieni di tweet e di post su Facebook, Marino con il suo zainetto pieno di orologi con l’ora sbagliata, le Volkswagen con le pive nel sacco.