Francesco sull’aborto: “Mai eliminare una vita”

Ai partecipanti al convegno internazionale "Yes to life!" un discorso, a volte a braccio, molto chiaro, esplicito e forte a difesa della vita in tutti i casi anche in presenza di diagnosi prenatale per finalità selettive che individuino condizioni patologiche.

Le storie parlano più di tante parole. La racconta Francesco ai partecipanti al convegno internazionale “Yes to life!“. «C’era una ragazzina di 15 anni down che è rimasta incinta e i genitori erano andati dal giudice per chiedere il permesso di abortire. Il giudice, un uomo retto sul serio, ha studiato la cosa e ha detto: “Voglio interrogare la bambina”. “Ma è down, non capisce…” “No no, che venga”. È andata la ragazzina quindicenne, si è seduta lì, ha incominciato a parlare con il giudice e lui le ha detto: “Ma tu sai cosa ti succede?” “Sì, sono malata…” “Ah, e com’è la tua malattia?” “mi hanno detto che ho dentro un animale che mi mangia lo stomaco, e per questo devono fare un intervento” “No… tu non hai un verme che ti mangia lo stomaco. Tu sai cos’hai lì? Un bambino!” E la ragazza down ha fatto: “Oh, che bello!”: così. Con questo, il giudice non ha autorizzato l’aborto. La mamma lo vuole. Sono passati gli anni. È nata una bambina. Ha studiato, è cresciuta, è diventata avvocato. Quella bambina, dal momento che ha capito la sua storia perché gliel’hanno raccontata, ogni giorno di compleanno chiamava il giudice per ringraziarlo per il dono della nascita. Le cose della vita. Il giudice è morto e adesso lei è diventata promotore di giustizia. Ma guarda che cosa bella! L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano».

Dicono gli psicologi che il cervello umano reagisce solo a impulsi positivi e respinge i divieti. L’aborto è un “no”. Forse basterebbe, ogni volta, caso per caso, poter ricevere più narrazioni positive, sulla bellezza di avere un bambino, per intravedere un filo di speranza oltre la paura e la solitudine. Il nodo nel dramma della scelta dell’aborto non è spesso la donna o il nascituro, ma l’assenza di «luoghi e “reti d’amore” ai quali le coppie si possano rivolgere, come pure dedicare tempo all’accompagnamento di queste famiglie». Una rete di protezione che accolga la mamma e il bambino per farli sentire entrambi voluti, accettati, sostenuti dalla società. E continui a seguirli anche dopo la nascita.

È molto chiaro, esplicito e forte il messaggio che il papa lancia e non lascia adito a nessun fraintendimento, per chi ancora li avesse, sulla sua posizione e della Chiesa sull’aborto. Come se si potesse separare la difesa della vita. Da un lato i migranti in mare, da un lato i nascituri nelle acque del grembo. Come se fossero due temi, uno di sinistra e uno di destra. Ma per Francesco, entrambi sono questioni di umanità o disumanità dove neanche la fede c’entra.

L’aborto «è un problema pre-religioso. Non carichiamo sulla fede una cosa che non le compete dall’inizio. È un problema umano. Soltanto due frasi ci aiuteranno a capire bene questo: due domande. Prima domanda: è lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema? Seconda domanda: è lecito affittare un sicario per risolvere un problema? A voi la risposta. Questo è il punto. Non andare sul religioso su una cosa che riguarda l’umano. Non è lecito. Mai, mai eliminare una vita umana né affittare un sicario per risolvere un problema».

Francesco è ben conscio che la cultura oggi dominante utilizza la diagnosi prenatale per finalità selettive e a livello sociale «il timore e l’ostilità nei confronti della disabilità inducono spesso alla scelta dell’ aborto, configurandolo come pratica di “prevenzione” ». «Ma l’insegnamento della Chiesa su questo punto è chiaro: la vita umana è sacra e inviolabile e l’ utilizzo della diagnosi prenatale per finalità selettive va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica, che sottrae alle famiglie la possibilità di accogliere, abbracciare e amare i loro bambini più deboli».

C’è da incoraggiare la scienza, la diagnosi prenatale per individuare eventuali condizioni patologiche, ma come per ogni altro paziente per curare e non per eliminare una vita umana. «Non di rado ‒ ribadisce Francesco ‒ si possono curare con interventi farmacologici, chirurgici e assistenziali straordinari, capaci ormai di ridurre quel terribile divario tra possibilità diagnostiche e terapeutiche, che da anni costituisce una delle cause dell’aborto volontario e dell’abbandono assistenziale alla nascita di tanti bambini con gravi patologie. Le terapie fetali, da un lato, e gli Hospice Perinatali, dall’altro, ottengono risultati sorprendenti in termini clinico-assistenziali e forniscono un essenziale supporto alle famiglie che accolgono la nascita di un figlio malato».

Ci vogliono soluzioni, ma sempre rispettose della vita umana, in ogni condizione, per umanizzare la medicina, come la cura con il confort care perinatale, cure palliative per pazienti con limitate aspettative di vita. « Tutto ciò ‒ dice il papa ‒ si rivela necessario specialmente nei confronti di quei bambini che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, sono destinati a morire subito dopo il parto, o a breve distanza di tempo. In questi casi, la cura potrebbe sembrare un inutile impiego di risorse e un’ulteriore sofferenza per i genitori. Ma uno sguardo attento sa cogliere il significato autentico di questo sforzo, volto a portare a compimento l’amore di una famiglia. Prendersi cura di questi bambini aiuta, infatti, i genitori ad elaborare il lutto e a concepirlo non solo come perdita, ma come tappa di un cammino percorso insieme. Quel bambino resterà nella loro vita per sempre. Ed essi lo avranno potuto amare. Tante volte, quelle poche ore in cui una mamma può cullare il suo bambino lasciano una traccia nel cuore di quella donna, che non lo dimentica mai. E lei si sente – permettetemi la parola – realizzata. Si sente mamma».

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