Francesco in Romania: «Farsi carico del bene comune»

Da oggi fino a domenica 2 giugno papa Francesco è in Romania. La prima visita, dopo lo scisma del 1054 con la Chiesa ortodossa, fu di san Giovanni Paolo II nel 1999.  Dopo l'accoglienza ufficiale all'aeroporto di Bucarest e la cerimonia di benvenuto presso il palazzo presidenziale Francesco ha tenuto il suo primo discorso ufficiale nella Sala Unirii davanti alle autorità del Paese.

Nel suo primo discorso alle autorità, ai rappresentanti della società civile e ai membri del Corpo diplomatico papa Francesco tocca alcuni dei punti cruciali della storia passata e attuale della Romania. Innanzitutto il fenomeno migratorio. Il 14% della popolazione, circa 3 milioni di persone, soprattutto donne, vivono all’estero e più di un milione di rumeni sono emigrati in Italia per fuggire alla povertà. Preferiscono guadagnare circa 1500 euro al mese in Italia piuttosto che 500 nel loro Paese. Tra le inevitabili conseguenze sono lo «spopolamento di tanti villaggi», la perdita della «qualità della vita», «l’indebolimento delle vostre più ricche radici culturali e spirituali». «Rendo omaggio ‒ sottolinea il papa ‒ ai sacrifici di tanti figli e figlie della Romania che, con la loro cultura, il loro patrimonio di valori e il loro lavoro, arricchiscono i Paesi in cui sono emigrati, e con il frutto del loro impegno aiutano le loro famiglie rimaste in patria». E, poi, aggiunge a braccio: «Pensare ai fratelli all’estero è un atto di patriottismo, di fratellanza, di giustizia. Continuate a farlo». Superata da 30 anni la fase storica del regime «che opprimeva la libertà civile e religiosa e la isolava rispetto agli altri Paesi europei, e che inoltre aveva portato alla stagnazione della sua economia e all’esaurirsi delle sue forze creative» occorre affrontare i problemi di questa nuova fase storica di progetto democratico per «far crescere la positiva collaborazione delle forze politiche, economiche, sociali e spirituali; è necessario camminare insieme (in unità ‒ aggiunge a braccio) e proporsi tutti con convinzione di non rinunciare alla vocazione più nobile a cui uno Stato deve aspirare: farsi carico del bene comune del suo popolo».

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Ma come camminare insieme? Il papa spiega che serve «la nobiltà di rinunciare a qualcosa della propria visione o del proprio specifico interesse a favore di un disegno più ampio, in modo da creare un’armonia che consenta di procedere sicuri verso mete condivise. In tal modo si può costruire una società inclusiva, nella quale ciascuno, mettendo a disposizione le proprie doti e competenze, con educazione di qualità e lavoro creativo, partecipativo e solidale».

Al papa sta a cuore la società della Romania nel suo complesso, non ammaliata da falsi miti consumistici ma con al centro dei propri pensieri e attività i più deboli, i più poveri e gli ultimi non «visti come indesiderati, come intralci che impediscono alla “macchina” di camminare, ma come cittadini e fratelli da inserire a pieno titolo nella vita civile; anzi, sono visti come la migliore verifica della reale bontà del modello di società che si viene costruendo. Quanto più infatti una società si prende a cuore la sorte dei più svantaggiati, tanto più può dirsi veramente civile».

Per realizzare una società più equa occorre sviluppare «l’anima del vostro popolo». Sì perché «i popoli hanno un’anima ‒ aggiunge a braccio ‒ per capire e vivere la realtà. Tornare a questo fa andare avanti un popolo».

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In questo alveo vuole portare il suo contributo la Chiesa cattolica per la costruzione della società rumena per «essere segno di armonia, speranza di unità e mettersi al servizio della dignità umana e del bene comune». Vuole, insomma, camminare insieme, a fianco di tutti, a servizio del popolo, come già fanno i suoi fedeli per «la formazione del destino della nazione, alla creazione e allo sviluppo di strutture di educazione integrale e forme di assistenza proprie di uno Stato moderno».

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