Francesco a pranzo da fratel Biagio
Sono passati solo alcuni giorni, dal viaggio di papa Francesco, sabato 15 settembre, a Palermo per il 25° anniversario della morte del beato Pino Puglisi, ma «l’eco di tale visita si rinnova di giorno in giorno, come un felice prolungamento della stessa gioia; la possibilità di vivere ancora più uniti», commenta Mariateresa Taormina, palermitana presente alla celebrazione della messa al Foro italico.
Tale sensazione è stata forte anche alla “Cittadella del Povero e della Speranza” di via Decollati, a Palermo, una delle sedi fondate dal missionario laico Biagio Conte, che da ospitalità – tramite la sola provvidenza e i prodotti delle terre coltivate – a circa mille senzatetto, con cui papa Francesco, dopo la messa, ha voluto soffermarsi per condividere il pranzo con alcuni di loro (160 persone in tutto, tra migranti, disabili e senza lavoro), con padre Pino Vitrano, l’arcivescovo di Palermo mons. Lorefice e, ovviamente, fratel Biagio.
Nello spazio esterno, ma sempre dentro la struttura della missione, stavano invece altre 1.400 persone e alcuni volontari. Il menù era uguale per tutti: una fettina di pane con olio, olive condite, tocchetti di formaggio, caponata; insalata di riso, tabulè con cous cous; petto di pollo panato alla siciliana, insalata mistae e alcuni dolci preparati dalle missionarie.
Il papa si è lasciato avvolgere, coinvolgere. Ha dissertato, pregato, sorriso, ascoltato. E si è meravigliato anche dell’inusuale e grandiosa unità che vi era. Perché nella missione di fratel Biagio convivono – nei dormitori, nei refettori, nei vari laboratori, finanche nella chiesa, sorta da un ex arsenale militare – uomini e donne di differenti nazionalità, religioni, spessore sociale, culturale. Ci sono giovani sbandati, anziani abbandonati, poveri, persone disagiate. Quelli che, in missione, si usa chiamare “fratelli ultimi”: gli scartati dalla società, gli scampati dalle guerre, dalla solitudine, dalla disoccupazione nera che più nera non si può; e che unisce, anch’essa, pelli e lingue diverse, perché acceca l’anima strappando la dignità.
Ma gli “ultimi”, il 15, sono diventati i “primi”. Fra questi, anche dei carcerati, che certi d’avere sbagliato e ansiosi di migliorarsi, hanno ricevuto la chance d’essere fra i pochi che hanno accolto, fisicamente, il Papa. Quest’incontro li ha, di certo, rincuorati, benedetti.
Ma se gli “ultimi” sono divenuti “i primi”, gli altri, soprattutto i volontari della “Missione di Speranza e Carità”, che facevano? Collaboravano perché tutto filasse in modo perfetto. «Perché se una sola persona che compie il bene è fragile – ha detto don Pino Vitrano –, cento, mille persone diventano una forza di bene». E anche per chi, suo malgrado, non è riuscito a scorgere il Santo Padre (perché le transenne, la folla e le forze dell’ordine lo hanno impedito) è rimasto molto colpito dalle sue parole.
«È stato emozionante vedere il papa che come Gesù ama e soffre per la povertà materiale e spirituale delle creature. Come il buon pastore, è venuto a visitare il suo gregge palermitano, per infiammare il cuore di ognuno per Dio che libera dal male e restituisce dignità e libertà a tutti», ha commentato Antonella Alioto, una delle donne che il 15 settembre ha servito il tavolo di Bergoglio.