Francesco, il papa degli ultimi
Sono passati cinque anni dalla elezione di papa Francesco a vescovo di Roma. Una sorpresa grandissima. La sorpresa del nome; la sorpresa del sogno di una Chiesa povera e dei poveri; la sorpresa dei poveri al centro della Chiesa; la sorpresa della pace attraverso la cultura del perdono.
La pace come il nome unico di Gesù, che fa la pace con il sangue della Croce. La pace che non è frutto di una diplomazia astuta e furba, a cui anche molti cattolici si dedicano con alterne fortune. Si diventa artigiani della pace attraverso il perdono, come azione che cambia la storia e la cultura di molti cuori.
Il tempo che ci viene incontro non domanda una nuova teologia e una nuova dottrina della pace, ma una nuova visione, che pone le vittime al centro di ogni processo di pace, in ogni luogo della terra, là dove la guerra diventa idolo devastante e mortifero.
Ecco il mistero di Dio che si fa pace, che si fa vittima. Ecco papa Francesco che ci ha consegnato questo corridoio della pace, che ha il suo punto di arrivo sul patibolo, là dove Gesù sperimenta l’abbandono delle vittime e Gesù è la vittima abbandonata.
Si apre come uno squarcio nuovo sul mistero della pace. Non abbiamo bisogno di teologi e di politici, sempre astuti nel giustificare dottrine e pensieri abili. Dobbiamo ascoltare le vittime.
I viaggi del Papa, da Lampedusa al Brasile, dalla Palestina ad Israele, dall’Albania ai Balcani, in un elenco crescente, sono viaggi per ascoltare le vittime. Fino alla Colombia, alla Repubblica Centro Africana, al Medio Oriente, al Myanmar e alla popolazione rohingya.
Il mistero della pace illumina il mistero delle vittime e le vittime chiamano papa Francesco a uscire dalle dottrine per imparare il linguaggio del perdono, dell’essere perdonati per perdonare e del perdonare per essere perdonati.
Il Vangelo delle beatitudini ha spinto papa Francesco a consegnare a tutti la parola della conversione. Senza conversione non c’è penitenza né purificazione. Senza conversione non c’è Vangelo, ma solamente logica di potenza.
La riforma non è struttura, non è organizzazione, non è potere, ma è vivere la forma del santo evangelo, vivere la radicalità del Vangelo.
La riforma ha lì il suo fondamento, non in strutture, non nel potere. Basti pensare al demone della politica, che ha portato molti credenti a farsi sedurre dalla tentazione del potere. Molti dei movimenti ecclesiali, anche in Italia, cercano risorse per influenzare la logica del comando.
Il pelagianesimo è una mala pianta che inquina il cuore dei molti. Papa Francesco ricorda ai movimenti che sono un talento, non certo tutti i talenti. La loro vocazione non è il monolitismo, ma la bellezza e la convivialità delle differenze. Non devono stare al centro, ma alle periferie. Non ai primi posti, ma agli ultimi, non con belle vesti, non con l’ostentazione del potere.
Papa Francesco è entrato nella casa dei poveri e ha portato i poveri a casa sua: sono venuti con le loro ferite e disabilità e il Papa li ha accolti e abbracciati come la perla preziosa per cui vendere tutto il campo. Ecco il volto della misericordia di Gesù, che ci viene incontro e ci accoglie.
Papa Francesco ha consegnato alla nostra chiesa i suoi santi, che altri avevano nascosto: don Mazzolari, don Milani, don Zeno Saltini, don Tonino Bello, Chiara Lubich, Giacomo Lercaro. Un elenco che si allungherà nella forma inerme ed efficace dello Spirito.
Come lampade indicano la luce dello Spirito nella storia, nella loro povertà, santità e mitezza. Una Chiesa che cresce nella forza dello Spirito.
Il papa emerito Benedetto, in risposta a quanti accusano papa Francesco di mancato spessore teologico, ha fatto una dichiarazione in sua difesa sottolineando invece quanto Bergoglio sia «un uomo di profonda formazione filosofica e teologica», e questo evidenzia anche il forte legame fra i due pontefici. Gli uomini del Vangelo, comunque, non hanno bisogno di essere difesi. Essi vivono della testimonianza che il Signore fa con loro e per loro. Ciò basta. Il Vangelo e nient’altro custodisce il loro cuore.
Queste righe non sono un bilancio, ma rendimento di grazie: dei disabili, dei poveri e delle vittime, delle persone ferite, che lungo la strada cercano Dio.