Francesco: la fraternità è la via per la pace
«A tutti interessa la strada della pace. Io sono disposto. Sono disposto a fare tutto quello che si deve fare. Anche, adesso è in corso una missione, ma ancora non è pubblica. Vediamo come… Quando sarà pubblica la dirò». Lo ha rivelato papa Francesco nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal suo 41° viaggio apostolico in Ungheria. «Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia … Questo non è facile. Lo stesso discorso che ho fatto in genere, l’ho fatto con Orbán e l’ho fatto un po’ dappertutto».
Poi, rispondendo a una domanda riguardo l’aiuto richiesto dal primo ministro ucraino per riportare in patria i bambini condotti forzosamente in Russia, ha detto: «La Santa Sede ha fatto da intermediario in alcune delle situazioni di scambio di prigionieri, e tramite l’ambasciata questa è andata bene, penso che può andare bene anche questa». E ha aggiunto: «È importante, almeno la Santa Sede è disposta a farlo perché è giusto, è una cosa giusta e dobbiamo aiutare, aiutare perché questo non sia un casus belli, ma un caso umano. È un problema di umanità prima che un problema di un bottino di guerra o di deportazione di guerra».
Il papa ha, quindi, sottolineato quanto sia importante che ciascuno faccia la propria parte: «Io penso anche, e voglio dirlo, alle donne che vengono nei nostri Paesi: Italia, Spagna, Polonia, Ungheria, tante donne che vengono con i bambini e i mariti o sono morti o stanno lottando nella guerra. È vero, l’entusiasmo, in questo momento sono aiutate, ma non perdere l’entusiasmo per fare questo perché quando cade l’entusiasmo, queste donne rimangono senza protezione, con il pericolo di cadere nelle mani degli avvoltoi che girano sempre cercando questo. Stiamo attenti a non perdere questa attenzione di aiuto che abbiamo per i rifugiati».
Parole che riassumono quello che papa Francesco ha portato nel cuore ed ha espresso, soprattutto in questi giorni. La ricerca convinta di ogni mezzo per costruire la pace è il fil rouge di un viaggio denso di significato, nel quale il papa ha incontrato i giovani, le persone rifugiate – tra le quali anche alcune scappate dall’Ucraina a causa della guerra –, i bambini dell’Istituto Beato László Batthyány-Strattmann, il mondo universitario e della cultura.
È risuonato ancora una volta, nel corso dell’omelia della s. Messa in Piazza Kossuth Lajos, l’invito a essere «in uscita», a diventare, come Gesù, una porta aperta: «È triste e fa male vedere porte chiuse» ha ribadito papa Francesco. «Le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero».
E rivolgendosi alla comunità ecclesiale: «le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi “non è in regola”, chiuse verso chi anela al perdono di Dio. Fratelli e sorelle, per favore, per favore: apriamo le porte!». Una raccomandazione rivolta anche ai vescovi e ai sacerdoti: «Fratelli, incoraggiamoci ad essere porte sempre più aperte: “facilitatori” della grazia di Dio, esperti di vicinanza, disposti a offrire la vita, così come Gesù Cristo, nostro Signore e nostro tutto, ci insegna a braccia aperte dalla cattedra della croce e ci mostra ogni volta sull’altare, Pane vivo spezzato per noi». È un invito diretto anche ai laici, ai catechisti, agli operatori pastorali, a chi ha responsabilità politiche e sociali: essere aperti e inclusivi gli uni verso gli altri, crescere nella fraternità che è via per la pace.
Anche ai giovani, che lo hanno accolto in un clima festoso con canti e danze, papa Francesco ha chiesto di prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace. «Lasciamoci scomodare da questo, chiediamoci, ciascuno di noi: io che cosa faccio per gli altri, che cosa faccio per la società, che cosa faccio per la Chiesa, che cosa faccio per i miei nemici? Vivo pensando al mio bene o mi metto in gioco per qualcuno, senza calcolare i miei interessi?». Li ha invitati ad amare e servire, a non scavalcare gli altri, ma ad abbassarsi per aiutarli; ha raccomandato loro di puntare in alto, di mettersi in gioco, mettendo a disposizione degli altri i propri talenti: «Investi sui grandi traguardi della vita!», ha detto esortandoli a dialogare con Gesù, «che è il miglior allenatore possibile. Lui ti ascolta, Lui ti motiva, Lui crede in te, sai?, Gesù crede in te!, Sa tirar fuori il meglio di te. E sempre invita a fare squadra: mai da soli ma con gli altri».
È importante andare controcorrente, non diventare come delle «macchine», veloci, efficienti, perfette. Papa Francesco ha domandato ai ragazzi: «Che cosa cercate nella vita? Che cosa cercate nel vostro cuore?» e li ha invitati a trovare un tempo di silenzio ogni giorno per fermarsi e pregare perché «il silenzio è il terreno su cui coltivare relazioni benefiche, perché permette di affidare a Gesù ciò che viviamo, di portargli volti e nomi, di gettare in Lui gli affanni, di passare in rassegna gli amici e dire una preghiera per loro. Però, ha sottolineato: «Ma il silenzio non è per incollarsi ai cellulari e ai social; no, per favore: la vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo, la vita avviene nel mondo! Per favore, non virtualizzare la vita! Lo ripeto: non virtualizzare la vita, che è concreta».
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