Francesco e il dialogo dell’amicizia
Non è facile fare un bilancio del viaggio del papa in Turchia. Nel giro di due giorni, infatti, Bergoglio ha colto l’occasione per affrontare con discorsi brevi e puntuali – uno stile a cui ci ha ormai abituato –, una varietà di problematiche. Si tratta di questioni brucianti, che, come abbiamo avuto modo di dire nell’articolo che intendeva presentare questo viaggio, offrono uno ventaglio notevole di aspetti.
In primo luogo, si è trovato in un Paese al confine di due mondi – Siria e Iraq – ormai attraversati da quello che a ragione definisce un terzo conflitto mondiale. Non ha temuto di affrontare le problematiche socio-politiche connesse a queste situazioni e lo ha fatto – come sottolinea il gesuita p. Paolo Bizzeti, profondo conoscitore della Turchia e della sua storia cristiana –, con “la chiarezza profetica nel denunciare ingiustizie o strade ormai sterili”.
Bergoglio ha denunciato con chiarezza e senza mezzi termini “la persecuzione dei cristiani, i fondamentalismi religiosi, che non riguardano solo i musulmani, la terza guerra mondiale combattuta a pezzi, il traffico di armi. Sono queste alcune ingiustizie denunciate dal Vescovo di Roma che ha anche sottolineato la sterilità di certi percorsi: come l'ecumenismo dei convegni e l'uniatismo rigido del passato”.
Riguardo al traffico di armi, proprio parlando in volo coi giornalisti al seguito, non ha fatto sconti a nessuno dando una sua lettura coraggiosa di quanto accade ed è accaduto in Sira. “Il traffico delle armi è terribile”, è oggi uno degli affari più fiorenti. “Ma io penso, l’anno scorso a settembre, alla Siria, quando si diceva che avesse le armi chimiche. Io credo che la Siria non fosse in grado di fare le armi chimiche. Chi gliel’ha vendute? Forse alcuni degli stessi che l’accusavano di averne? Non so. Ma su questo affare delle armi c’è tanto mistero”.
Accanto a questo ha parlato con chiarezza della necessità che i governi assicurino l’osservanza dei diritti umani per tutti e, in particolare, che sia riconosciuto per ogni uomo e donna la possibilità di professare la propria fede.
Anche l’argomento Islam è stato al centro dell’attenzione del papa, che ha tenuto a distinguere fra la religione ed i suoi fedeli con il patrimonio di Scritture e tradizioni ed il fondamentalismo di alcune frange. Ancora, nel volo di ritorno, ha definito “il Corano un libro di pace”, sottolineando come non sia pensabile equiparare islam e terrorismo.
Allo stesso tempo non ha temuto di affermare la necessità che i leader musulmani condannino gli attentati terroristici. “Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – dicano chiaramente e condannino quello, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire ‘No!’, ma davvero, dalla bocca dei suoi leader”.
Tuttavia, Francesco non ha cessato di parlare della necessità del dialogo per risolvere le diatribe internazionali, ricordando che la violenza produce solo altra violenza. “Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti – ha dichiarato davanti al presidente Erdogan – come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace! Questo atteggiamento conduce ad utilizzare con lealtà, pazienza e determinazione tutti i mezzi della trattativa, e a raggiungere così concreti obiettivi di pace e di sviluppo sostenibile”.
Un ulteriore aspetto che ha affrontato con chiarezza, e molti si attendevano un suo pronunciamento in merito, è stato quello del destino dei cristiani nell’area medio-orientale e la tendenza, che pare inarrestabile, della loro progressiva scomparsa da una zona che costituisce il bacino culturale e storico sia della tradizione biblica che di quella delle prime chiese cristiane. Parlando di questi cristiani e dell’impossibilità di pensare un Medio Oriente senza la loro presenza, ha parlato di martiri cristiani, quelli che muoiono per la loro fede, senza dubbio, ma anche coloro che sono profughi in terra straniera perché cacciati dalle loro case e dai loro villaggi o città.
Da questo martirio che accomuna tutte le chiese cristiane della zona nasce quello che Francesco definisce l’ecumenismo del sangue. “I nostri martiri ci stanno gridando: ‘Siamo uno! Già abbiamo un’unità, nello spirito e anche nel sangue”.
Proprio l’aspetto ecumenico è quello che, probabilmente, ha offerto le immagini più coinvolgenti e i momenti di maggior commozione. Bergoglio ha parlato di dialogo dell’amicizia, senza escludere quello teologico, ma non ha nascosto i pericoli di restare aggrappati alle sole questioni di carattere ecclesiologico o teologico.
È andato a ripescare Paolo VI che, con una battuta, aveva affermato che se dobbiamo aspettare che i teologi si mettano d'accordo quel giorno non arriverà mai; bisognerebbe metterli su un’isola. C’è la necessità di continuare a camminare insieme.
“Questo è l'ecumenismo spirituale: pregare insieme, lavorare insieme, tante opere di carità”. Ha poi precisato: “Le Chiese cattoliche orientali hanno il diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca”. Ha poi dichiarato con apertura, anche se un po’ sottovoce, il suo sogno: andare a Mosca per incontrare il Patriarca Kirill. “Gli ho detto: ‘Io vado dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vado’. E lui ha la stessa voglia”. Ma in questo momento c’è la questione dell’Ucraina e il Patriarca ha altri problemi.
Il viaggio in Turchia ha presentato tutta la statura spirituale ed ecumenica di Papa Francesco, ma ha messo in evidenza anche l’umiltà che tocca il cuore della gente e che è un elemento indispensabile per il dialogo sia ecumenico che interreligioso.
Come diceva Paolo VI, il mondo oggi ha bisogno di testimoni più che di maestri. E Bergoglio dimostra di esserlo. La gente lo ascolta anche come maestro proprio grazie alla sua capacità di essere testimone vero ed umile. E questo mai a scapito della sua grande capacità di leggere quanto avviene nel mondo e nella Chiesa e della apertura che offre ad entrambi.
Con i loro gesti fraterni e la loro stima reciproca, Papa Francesco e Bartolomeo hanno dato un esempio e schiuso un orizzonte alle rispettive comunità ecclesiali.