Francesco e Benedetto, credere oggi
Trenta giorni di pontificato. Il primo, piccolo “giro di boa” si compie anche per papa Francesco. In questo primo mese, fiumi di inchiostro si sono sprecati sul confronto tra Francesco e Benedetto, tirando forse troppo in fretta alcune conclusioni. Come stanno davvero le cose? Paolo Fucili è un volto noto di TV2000, e segue da tempo le vita della Chiesa a Roma e nel mondo.
La sua ultima fatica letteraria, Credere ancora? La fede secondo Benedetto XVI (Roma 2012, Ed. Elledici, 59 pp, 6,00 euro) fin dal titolo potrebbe sembrare opera anacronistica. E invece, proprio il cambio di pontificato rende queste pagine ancora più attuali.
Mentre conosciamo sempre di più papa Francesco, ci si chiede cosa rimanga del precedente pontificato. I continui confronti risultano quasi banali e forse poco vicini alla realtà…
«Papa Francesco, durante l’udienza con i giornalisti, ci ha ricordato che nel raccontare la Chiesa e le sue vicende dobbiamo essere consapevoli che non si possono interpretare i fatti in chiave solo umana. La prospettiva della storia e della fede vede ogni papa accanto agli altri: diversi e talvolta opposti negli stili e nelle scelte, ma ognuno con un contributo specifico da dare per il momento storico che vive, ponendo le basi per il futuro. Sull’eredità di Benedetto, sono convinto che tra 50 anni i documenti dei papi saranno pieni di virgolettati di Benedetto XVI. Il suo pensiero è di una tale chiarezza che costituirà un “punto di partenza”».
Cosa significa un “punto di partenza”?
«Il pontificato di Benedetto XVI rimane un punto di partenza perché da tutto il suo magistero emerge un tratto del cristianesimo che è la sua modernità per i tempi di oggi. In otto anni è stato chiarito il rapporto fra fede, cultura e società nel mondo. Nel mio libro viene in luce, almeno nelle sue principali linee, questo lavoro enorme che penso servirà, appunto, come base di partenza per la riflessione anche per i futuri pontificati».
Hai scritto in tempi non sospetti, con Ratzinger ancora in carica, che Benedetto XVI ha impiegato questi otto anni per mettere delle basi solide alla nostra fede e darci ora la possibilità di guardare lontano.
«La cifra del pontificato di Benedetto XVI è stata proprio questa: un ritorno all’essenziale, ripartendo dall’abc della fede, che si mantiene vitale quando è in contatto con le domande dell’uomo, con i suoi problemi e le sue inquietudini. In otto anni noi abbiamo riscoperto tutto questo, e adesso papa Francesco, con uno stile diverso, con energie diverse, sta riprendendo gli stessi concetti con l’approccio che serve oggi. Ma i fondamenti sono in assoluta continuità con l’insegnamento di Benedetto XVI».
Il cristianesimo sembra perda fedeli, mentre si chiede alla Chiesa di riformarsi.
«Non mi preoccuperei di questo perché il cristianesimo può anche essere minoritario ma dev’essere vero, autentico. Si facciano pure le riforme istituzionali di curie e altro, ma prima di tutto c’è da fare la riforma dei cuori e della vita, è questo l’appuntamento a cui non possiamo mancare. Papa Francesco ce lo sta ricordando ogni giorno».
Tu scrivi che Benedetto XVI ci ha trasmesso una fede che interpella, provoca, smuove le coscienze.
«L’essere in contraddizione è il paradosso del cristianesimo, e se il cristianesimo perde l’essere provocatorio perde il suo sale. Benedetto XVI ci ha trasmesso una fede ragionevole, che fa riferimento al diritto naturale, di una modernità straordinaria ma che richiede una rivoluzione interiore. Francesco è tutto da scoprire: con lui viene in luce il cattolicesimo popolare, devoto, sentito dalla gente più diversa. E questo è possibile perché c’è un’eredità gigante, che è quella di Ratzinger. Quando Bergoglio cita sua nonna, pensiamo a quante nonne al mondo ci sono che vivono così, pensiamo alla tenerezza dei ricordi che ci tocca il cure. E questo è solo l’inizio, con il tempo verrà fuori tanto di più. Ma questo è possibile perché viviamo l’eredità di Ratzinger, che Francesco rinnova».