Francesco tra Asia e America Latina

Il prossimo viaggio del papa nell’Asia sudorientale è un itinerario verso la pace, quello compiuto in Colombia è stato dichiaratamente un “primo passo” verso un futuro di riconciliazione. Un commento  

C’è un arcobaleno all’interno del cuore scelto come logo per la visita che papa Francesco farà in Myanmar a cavallo tra novembre e dicembre prossimi. Ed è una colomba stilizzata il simbolo grafico scelto per la sosta in Bangladesh, seconda tappa del medesimo viaggio. L’arcobaleno descrive la varietà di etnie dell’ex Birmania, la colomba racconta il desiderio universale di pace. E “pace” è il motto che si accompagna ai due loghi, assieme ad “amore” per il Myanmar ed “armonia” per il Bangladesh. Una dichiarazione di intenti che non può non stridere con le facce scavate che punteggiano il fango, tra tende e baracche, dei rohingya, una delle etnie che non trova più casa né pace proprio tra il Myanmar buddista e il Bangladesh musulmano, a causa del conflitto in corso nello Stato birmano di Rakhine, che ha prodotto un popolo di senza patria.

La nuova periferia del pianeta che papa Bergoglio ha deciso di raggiungere tra un paio di mesi è certamente molto diversa dal volto della Colombia lasciata a inizio settembre. Anzitutto perché nelle due nazioni asiatiche la comunità cattolica è poco più di uno zero percentuale, mentre nello Stato latinoamericano la festa ininterrotta di folle immense registrata nei giorni della visita dice tutto dell’amore della gente per Francisco.

Se quello che compirà nell’Asia sudorientale è già nel cuore di Francesco un itinerario verso la pace, quello compiuto in Colombia è stato dichiaratamente un “primo passo” verso un futuro di riconciliazione sconosciuto alle ultime due generazioni. L’albero piantato a Villavicencio è stato il gesto simbolo di un Papa che non dimentica mai il proprio continente, le sue crisi e le sue speranze, come hanno dimostrato gli ennesimi appelli in favore della distensione del vicino Venezuela.

Tra Bogotà, Medellin e Cartagena, le altre località toccate nel viaggio, Francesco ha incontrato i colombiani a un crocevia storico. Da una parte i guerriglieri delle Farc, i più numerosi, senza più armi e con la voglia di passare dopo oltre 50 anni dalla lotta armata al confronto politico. Dall’altra quelli dell’Eln, l’altra milizia, pronti a un cessate-il-fuoco beneagurante. In mezzo, per così dire, il resto del Paese che guarda a una nuova stagione di democrazia, senza più la spada di Damocle di un conflitto interno “a bassa intensità” (ma che ha fatto oltre 200 mila morti e milioni di sfollati) e insieme con le incognite legate al riassetto sociale e politico, cui dovranno dare risposte le elezioni del 2018.

Nei suoi incontri, Francesco ha declinato la riconciliazione in tutti i suoi aspetti: rispetto della dignità delle persone, sguardo speciale per i poveri e i più deboli, sradicamento delle ingiustizie, rifiuto della vendetta per la giustizia giacché, ha affermato al cospetto del presidente colombiano Juan Manuel Santos, Nobel per la pace, «non è la legge del più forte, ma la forza della legge, quella che è approvata da tutti, a reggere la convivenza pacifica».

Una testimonianza su tutte ha dato particolare spessore a queste parole del papa. Quella di Mira García, 61 anni, cui la guerriglia in momenti diversi ha ucciso il padre, il marito, una figlia e un figlio, e che nonostante il dolore per questi colpi crudeli ha continuato a credere nel valore del perdono, cominciando con il curare l’assassino del padre per finire, anni dopo, col dare aiuto al giovane killer del figlio. «Basta una persona buona perché ci sia speranza», ha esclamato Francesco durante la cerimonia della riconciliazione di Villavicencio, dove vittime e carnefici si sono abbracciati regalando al Paese una scena non proprio comune. E perdono il papa ha sollecitato anche per i “sicari della droga” dall’altare della messa celebrata a Medellin, famigerata roccaforte nel narcotraffico tra gli anni Ottanta e Novanta, purché cessi quel mercato di illusione e morte che ha distrutto un’infinità di giovani vite.

Il viaggio in terra colombiana è stata caratterizzato da un’idea dei vescovi, quella di designare per ogni giornata una tematica particolare – pace, famiglia, giovani, creato e così via. A dare “tridimensionalità” a questa scelta sono state le feste, brevi ma trascinanti per musica, balli e ritmo, che la gente di Bogotà ha riservato al papa ogni sera al suo rientro in nunziatura. Così è accaduto di vedere la commozione luccicare negli occhi di molti quando Francesco ha via via regalato parole e gesti paterni a famiglie, giovani disabili, seminaristi e religiose, a tutte le categorie sociali seguite da una Chiesa che ancor più adesso, si è raccomandato, deve sentirsi “libera” di portare la parola del Vangelo senza «alleanze con una parte o con l’altra».

Mentre le impressioni si sedimentano e Francesco guarda a Oriente, resta l’eco delle parole di Gabriel García Marquez, colombiano di nascita, pronunciate il giorno del Nobel per la letteratura nel 1982 e citate dal Papa all’inizio della visita: «Davanti all’oppressione, il saccheggio e l’abbandono, la nostra risposta è la vita. Né diluvi né pestilenze, né fame né cataclismi, e nemmeno le guerre infinite lungo secoli e secoli hanno potuto ridurre il tenace vantaggio della vita sulla morte. Un vantaggio che aumenta e accelera». E una certezza anche per il prossimo pellegrinaggio.

 

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