Francesco accoglie il dolore dei Mapuche
Iniziato con i versi di Pablo Neruda sulla speranza alla quale non si deve rinunciare, il viaggio di Francesco in Cile è continuato con le note struggenti del canto di Violeta Parra “Arauco ha una pena”. Il papa ha reso omaggio in questo modo ai due artisti cileni più celebrati, uniti da una comune ma non sbandierata origine etnica Mapuche. Ma soprattutto è riuscito a calarsi fino in fondo nelle contraddizioni di questo bellissimo e ancora assai sofferente Paese.
“Arauco ha un dolore che non posso tacere, sono ingiustizie di secoli che tutti vedono commettere”, ha detto Papa Francesco con voce grave citando un canto indigeno riscritto e interpretato da Violeta Parra, all’aeroporto militare di Temuco, un luogo che lo stesso pontefice ha associato alle “gravi violazioni di diritti umani” subite dai Mapuche, il “popolo della terra”, l’unico tra quelli nativi del Sud America che è riuscito a sopravvivere alla colonizzazione europea.
Come si è visto in questi giorni, alcuni gruppi, minoritari ma con evidenti buone ragioni, hanno protestato (arrivando a dare fuoco a nove chiese) contro la visita di Francesco, e in particolare per il luogo scelto per la celebrazione di Temuco: una base militare dove gli uomini di Pinochet hanno continuato lo sterminio iniziato dai Conquistadores, con una logica di annientamento che ricorda Erode ed ha anticipato di qualche secolo Adolf Hitler.
Il Papa ha abbracciato senza esitazioni la causa dei Mapuche, ma li ha invitati a dire “no alla violenza che distrugge”. “Questi atteggiamenti – ha spiegato ai 150 mila fedeli presenti – sono come lava di vulcano che tutto distrugge, tutto brucia, lasciando dietro di sé solo sterilità e desolazione. Cerchiamo, invece, la via della nonviolenza attiva come stile di una politica di pace”.“Cerchiamo e non stanchiamoci di cercare il dialogo per l’unità”, ha invocato Francesco.
Costretti ad abitare in porzioni di terra decisamente insufficienti anche per la sola sopravvivenza della popolazione, che è censita attorno ai 600 mila, oggi i Mapuche, feriti dalle continue repressioni e incursioni militari e dalla povertà estrema, sono finiti a vivere ai margini delle metropoli come i poveri tra i poveri, e per quelli che si ostinano ad abitare in villaggi rurali si prospetta un futuro sempre più nero. “Offriamo questa celebrazione per tutti coloro che hanno sofferto e sono morti e per quelli che, ogni giorno, portano sulle spalle il peso di tante ingiustizie”, ha premesso Francesco, per poi riaffermare che il mondo intero ha “bisogno della ricchezza che ogni popolo può offrire, e dobbiamo lasciare da parte la logica di credere che ci siano culture superiori o inferiori”.
Ai Mapuche, infine, il Papa ha chiesto di unirsi alla sua invocazione: “Signore, rendici artigiani della tua unità. Tutti noi che, in una certa misura, siamo gente tratta dalla terra, siamo chiamati al buon vivere come ci ricorda la saggezza ancestrale del popolo Mapuche, ed abbiamo un anelito profondo che scaturisce non solo dai nostri cuori, ma risuona come un grido, come un canto in tutto il creato. Perciò, fratelli, per i figli di questa terra, per i figli dei loro figli, diciamo con Gesù al Padre: che anche noi siamo una cosa sola; rendici artigiani di unità”.
Dopo il pranzo con 10 rappresentanti di questo popolo così ferocemente offeso, Francesco è rientrato in aereo a Santiago del Cile, dove ha trovato una grande folla ad attenderlo per le strade che ha attraversato in jeep. E caldissima è stata anche l’accoglienza dei giovani al Santuario mariano di Maipù, dove ha lanciato un appello a tutti i ragazzi del paese più lungo del mondo, “cattolici e non cattolici”, ha precisato. “Siate i protagonisti del Cile che i vostri cuori sognano”.
“Nel mio ministero episcopale ho potuto scoprire – ha confidato – che ci sono molte, ma molte buone idee nei cuori e nelle menti dei giovani. Sono inquieti, cercatori, idealisti. Il problema è di noi adulti che, molte volte, con la faccia di sapientoni, diciamo: ‘Pensa così perché è giovane, presto maturerà’. Sembrerebbe che maturare sia accettare l’ingiustizia, credere che non possiamo fare nulla, che tutto è sempre stato così”. “Siate patrioti ma non nazionalisti”, ha chiesto loro il Papa che ha insistito sulla connotazione negativa di un patriottismo esagerato, fanatico, irragionevole, che si riassume con l’espressione ‘patriottardo’. Così come ha spiegato di aver convocato il prossimo Sinodo per riflettere sui giovani e le loro attese, “sui giovani cattolici e giovani non cattolici”, ha tenuto a sottolineare.
Ai ragazzi Francesco ha poi raccontato di un giovane al quale ha chiesto che cosa potesse metterlo di cattivo umore. “Mi ha detto: ‘Quando al cellulare si scarica la batteria o quando perdo il segnale internet’. Gli ho chiesto perché. Mi ha risposto: ‘Padre, è semplice, mi perdo tutto quello che succede, resto fuori dal mondo, come appeso. In quei momenti, vado di corsa a cercare un caricabatterie o una rete wi-fi e la password per riconnettermi’”. “Questo – ha spiegato il Papa – mi ha fatto pensare che può succederci la stessa cosa con la fede: iniziamo a restare senza connessione, senza batteria, e allora ci prende il cattivo umore, diventiamo sfiduciati, tristi, senza forza, e incominciamo a vedere tutto negativo”. “Senza connessione, senza la connessione con Gesù, finiamo – ha osservato il Papa – per annegare le nostre idee, i nostri sogni, la nostra fede e ci riempiamo di malumore. Rimaniamo disconnessi da ciò che sta accadendo nel mondo”.
Infine la visita – assai impegnativa per i temi affrontati – alla Pontificia Università Cattolica del Cile dove ha pronunciato un discorso molto importante e complesso che sarà ricordato come un capitolo della liberatoria Teologia del Popolo che Francesco sta scrivendo con il suo Pontificato. La cultura di oggi “ha perso la memoria, ha perso i legami che sostengono e rendono possibile la vita”. “Senza il noi di un popolo, di una famiglia, di una nazione e, nello stesso tempo, senza il ‘noi’ del futuro, dei bambini e di domani; senza il ‘noi’ di una città che ‘mi’ trascenda e sia più ricca degli interessi individuali, la vita sarà non solo sempre più frammentata ma anche più conflittuale e violenta”. “L’Università, in questo senso – ha concluso Francesco – vive la sfida di generare, all’interno del proprio stesso ambito, le nuove dinamiche che superino ogni frammentazione del sapere e stimolino una vera universitas”.