Per la prima volta insieme da tutto il mondo le famiglie francescane.
Un capitolo in quattro verbi. Il capitolo è quello delle stuoie che dal 15 al 17 aprile ha visto convenire ad Assisi quasi duemila francescani da tutto il mondo; i verbi, quasi una sintesi della tre giorni, sono quelli pronunciati dal ministro generale dei frati minori padre Josè Carballo nell’omelia della messa conclusiva celebrata presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo, poco prima dell’udienza col papa: vedere, andare, correre, gioire. Vedere, cioè fare esperienza del Cristo Risorto, l’unica che dà senso «alla nostra vita e alla nostra missione»; andare, ossia la necessità esistenziale di mettersi in cammino, di «lasciare il nostro piccolo chiostro per inserirci nel chiostro del mondo»; correre, lasciando da parte la stanchezza, la rassegnazione, le sicurezze… perché «c’è qualcosa di urgentissimo da comunicare»; gioire, perché «una sequela triste è una triste sequela e non può essere contagiosa».
Se ci sono eventi che fanno la storia, a battenti chiusi si può ben dire che il Capitolo delle stuoie è fra questi. Basti un dato: era la prima volta, dopo 800 anni, da quando nel 1221 Francesco aveva convocato cinquemila frati, che le diverse famiglie francescane si ritrovavano insieme. All’epoca avevano dormito, manco a dirlo, su delle stuoie, da cui il nome, appunto, di Capitolo delle stuoie. Questa volta un alloggio meno spartano è stato cercato e trovato per tutti, ma il nome rimane per l’evidente continuità con quell’esperienza che da adesso in poi non sarà più unica.
A raccontare il capitolo basterebbe un’immagine descritta da qualcuno degli organizzatori: «All’inizio dei lavori si vedevano ben distinte nella sala, una tensostruttura antistante Santa Maria degli Angeli, le macchie di colore: il nero dei Conventuali, il bruno dei Cappuccini e dei Minori, il grigio del Terz’ordine regolare. Col passare del tempo si scorgeva una trama che si andava intrecciando».
Un lungo percorso
A questo punto un salto indietro è d’obbligo. Lo facciamo con l’aiuto di padre Mariano Steffan, segretario della CimpCap (Conferenza italiana ministri provinciali cappuccini), nonché responsabile della segreteria organizzativa del capitolo. Lo incontriamo qualche giorno dopo la conclusione dei lavori e sul suo volto si scorgono l’impegno richiesto, ma più ancora la gioia dei frutti maturati, al di sopra di ogni aspettativa.
«Il cammino che ci ha portati a questo Capitolo delle stuoie è piuttosto lungo – ci racconta –. Già agli inizi degli anni Settanta, nel fervore post conciliare, c’erano stati tanti momenti definiti Capitolo delle stuoie, ma non era mai stata fatta un’indizione da parte dei ministri generali: erano delle iniziative sporadiche promosse dall’una o dall’altra famiglia francescana o incontri realizzati dai giovani francescani in formazione». Poi pian piano hanno cominciato ad incontrarsi le varie conferenze (l’insieme delle diverse province) di ogni ordine e grado, sia a livello mondiale che nazionale. E proprio durante una di queste conferenze unitarie nasce l’idea del Capitolo delle stuoie.
Prosegue padre Steffan: «Inizialmente non avevamo pensato ad un capitolo internazionale; noi volevamo raggiungere al massimo la realtà italiana, un migliaio di frati nella migliore delle ipotesi. Quando ne abbiamo parlato coi ministri generali ci hanno detto: “Perché limitare questo sforzo ad una dimensione italiana e non aprirlo ai frati del mondo intero?”».
La proposta sembrava troppo ardita, ma comunque rassicurava il pensiero che dal resto del mondo sarebbero venuti al massimo un centinaio di frati: invece ne sono arrivati circa 800 tra provinciali e rispettivi consiglieri. «Di fronte a questi numeri i ministri generali hanno capito che ci trovavamo davanti a qualcosa che rispondeva alle esigenze della base. La fatica, a quel punto, è stata solo quella di dare una sistemazione adeguata ad ognuno». Per il resto tutti erano artefici del capitolo, partecipando attivamente ai lavori, creando con spontaneità quei gruppi di scambio, di dialogo, che nel programma non erano stati pensati.
I campi d’azione
Vari i temi trattati. «L’opportunità di incontrare i ministri generali mi dà modo, poi, di cogliere la complessità degli ambiti d’azione dei francescani, dall’educazione alla missione, dalla comunicazione al dialogo interreligioso, solo per citarne alcuni – prosegue –. Temi tutti molto sentiti, che fanno parte del dna del francescanesimo come ci conferma padre Josè Carballo, ad esempio, a proposito del dialogo interreligioso, aperto da Francesco in visita al sultano d’Egitto nel 1219: «Teniamo presente che era l’epoca delle crociate e nel linguaggio ufficiale si usava molto la parola “contro”. Francesco nella sua regola dice di andare “tra”: ecco la grande differenza. Forse noi non siamo esperti nel dialogo teologico o filosofico; siamo esperti, mi pare di poterlo dire, nel dialogo della vita. Abbiamo tante esperienze positive in giro per il mondo soprattutto nelle terre dove i cristiani sono in minoranza, dalla Terra Santa al Marocco, all’Indonesia…».
Sempre nel dna francescano c’è un altro elemento: «Quello di andare dove nessuno è disposto ad andare», ci spiega padre Mauro Johri, ministro generale dei Cappuccini. Che evidenzia anche come nell’ambito della missione ci sia «tanto da rinnovare perché siamo diventati tutti un po’ comodi. Si tratta però di approfondire molto l’esperienza dell’incontro col Cristo, perché non è che basti un po’ di spirito d’avventura, occorrono motivazioni forti. Come dicevamo nei giorni del capitolo, la predicazione, fatta non di moralismi o divieti, ma dell’annuncio di Gesù, deve tornare al centro delle nostre preoccupazioni. Finora ci siamo limitati a quel dieci per cento che frequenta le nostre chiese: adesso è l’ora di abbattere gli steccati, di muoverci verso gli altri con costanza e rispetto delle diversità».
Una sorta di «conversione permanente, un viaggio continuo nella fede per il quale è necessario avere uno spirito aperto e docile», come sottolinea padre Michael Higgins del Terz’ordine regolare.
Riguardo all’educazione, poi, padre Marco Tasca, ministro generale dei Conventuali con poche battute ci descrive una rivoluzione: «Non si tratta solo di un’opera tecnica da farsi coi più sofisticati mezzi mediatici. Il nostro modello è la passione con cui Francesco ha preso in mano il Vangelo e l’ha fatto stile di vita inculturandolo nel suo tempo».
Il Vangelo stile di vita
Ed è proprio il riappropriarsi del Vangelo il frutto più maturo dell’intero capitolo, quel ritorno alle radici che tutti auspicavano. L’ultimo atto di Assisi è stato infatti il pellegrinaggio da Santa Maria degli Angeli alla Basilica superiore dove ogni frate, ai piedi della tomba del santo, ha ricevuto dal proprio ministro generale il libricino della Regola. «Un momento commovente, fino alle lacrime – confida padre Mariano –. “Regola e vita dei frati è vivere il Vangelo”, ha lasciato scritto Francesco e dunque ricevere la Regola è stato come riappropriarsi in maniera radicale del Vangelo come unico stile di vita».
Come procede adesso il cammino? «Concretamente da qualche tempo, ci si consulta di più anche in ambito operativo. Qualora ad esempio c’è da valutare la possibilità o meno di una presenza francescana in un posto, lo si fa insieme; si sta arrivando all’adozione di un unico messale di tutti i santi francescani; si è giunti alla redazione congiunta di un nuovo testo delle Fonti francescane. La cosa più forte è la coscienza che è questo il momento perché i francescani possano ritrovarsi uniti dall’unico carisma anche se i cammini sono diversificati», conclude padre Mariano.
Torna in mente l’augurio che Chiara Lubich aveva lasciato scritto sul libro degli ospiti del sacro convento in occasione dello storico incontro interreligioso dell’ottobre 2000. A ricordarlo è la presidente Maria Voce, che fa gli onori di casa presso il Centro Mariapoli. «Auguro alla famiglia francescana – scriveva Chiara – di realizzare l’ideale di san Francesco e santa Chiara e cioè l’unità (sorretta dalla povertà) fra loro, con tutte le famiglie religiose del mondo antiche e nuove, nella profonda unità con la Chiesa istituzionale per far felice Gesù».
Piccoli grandi segnali, questi giorni di Assisi, di un cammino che sembra senza possibilità di ritorno.