Franca Valeri, ci ha lasciato una grande artista
È stata una caratterista, Franca Valeri? Se vogliamo adoperare questa sintesi riduttiva, beh, lo è stata in modo straordinario. Se invece proviamo a ripercorrere più attentamente la sua lunga, trasversale, formidabile carriera, allora ci accorgiamo che è stata molto altro, molto di più: a partire da certi personaggi gustosissimi da lei creati, entrati nell’immaginario popolare italiano del secondo ’900. Quello della Signorina snob, per esempio, che ironizzava su certa borghesia milanese e aveva preso forma con le imitazioni che Franca Valeri faceva di certe amiche di sua madre; o quello di Cesira la manicure, o ancora quello della Sora Cecioni, che stava sempre al telefono con mammà ed era un frullato di donne osservate dalla Valeri una volta arrivata a Roma, rubacchiando loro espressioni e pensieri. Le prime due erano meneghine, milanesi come lei, la terza era popolare e romanesca: tutte e tre resistenti alle stagioni e divertenti ancora oggi. Tutte e tre utili ad aiutare quest’artista eclettica, dal talento multiforme, sempre autrice di se stessa – questa donna straordinaria che lo scorso 31 luglio ha compiuto cento anni – a muoversi in scioltezza tra la radio, dove quei personaggi presero vita alla fine degli ’40, e il teatro, che è stata la sua principale passione: sia leggero che impegnato, vissuto sia da attrice che da regista, comprese le tante opere liriche che ha diretto.
E poi la televisione della grande stagione del varietà, a cui ha preso parte soprattutto con Studio Uno, subito dopo la metà degli anni ’60, sotto la guida del maestro Antonello Falqui. E infine il cinema. Non con tantissimi film, in verità, ma con pennellate memorabili come quelle di Totò a colori (1952) e di Piccola posta (1955), entrambi di Steno; di Gli onorevoli di Sergio Corbucci (1958) o di Crimen di Mario Camerini (1961); o ancora quella eccezionale del suo film forse più noto: Il vedovo di Dino Risi (1959), dove, nei panni di sciura milanese, ripeteva di continuo “cretinetti” a suo marito Alberto Nardi, imprenditore incapace costruito da un grande Alberto Sordi. Con lui Franca Valeri fece 7 film, lo stimava per la grande professionalità e ci fu vera amicizia. Con Risi, invece, girò anche quel gioiellino che è Il segno di Venere (1955), del quale, come nei film diretti più tardi da suo marito Vittorio Caprioli – Leoni al sole (1961), Parigi o cara (1962), il film che in assoluto ama di più, e Scusi, facciamo l’amore (1968) – fu anche sceneggiatrice. E si vede la mano di Franca Valeri dentro il personaggio di Cesira interpretato in Il segno di Venere: una donna minuta, delicata, intelligente, sensibile, ironica, fragile e sognatrice, che deve fare i conti con una cugina giunonica e appariscente, prorompente, interpretata da quella Sophia Loren principale modello di maggiorata italiana anni ’50. Lo stesso al quale la Valeri ha offerto sempre una preziosa alternativa.
Dentro personaggi come Cesira si può leggere la sottile, acuta ironia di questa donna, la sua modernità vivace dentro un fisico anonimo, apparentemente indifeso e invece forte nella sua normalità, sveglio, pensante, brillante. Con la sua statura composta da una grande energia, con le sue voci spigliate dai diversi accenti, Franca Valeri ha raccontato una donna comune capace di sciogliere le amarezze, le delusioni per i fallimenti, amorosi e non solo, attraverso una raffinata intelligenza, una disincantata e malinconica lucidità. Ha saputo raccontare con leggerezza un tema serio come quello della solitudine, facendo prima di tutto ridere, e offrendo un contributo fondamentale, immenso, alla comicità femminile del nostro Paese.
Ha aperto la strada a tante attrici comiche, con le sue donne pungenti, simpatiche e graffianti, un po’ birichine e un po’ tenere. È stata tra le più brave, con le sue sfumature di attrice, regista, autrice e scrittrice, con la sua cultura robusta e mai ostentata, con il suo amore profondo per l’arte di recitare, di esprimere se stessa attraverso una miscela irresistibile di corpo, voce e pensiero.