Fra le mille colline
Martedì 16 luglio. Parto da Roma alle due del mattino dopo una serata d’attesa nell’aeroporto deserto. Tra i vari pannelli pubblicitari che invitano al viaggio, uno colpisce la mia immaginazione: “Lasciati guidare”, dice. Un invito che riecheggia in me come una chiara indicazione sul da farsi nel mese che passerò in Ruanda. Quattordici ore più tardi scopro dall’alto il “paese delle mille colline”: piantagioni di banani e villaggi collegati da piste terrose. Guardando le dolci colline, sono tuttavia altre le immagini che mi passano davanti agli occhi: quelle terribili dei tristemente rinomati avvenimenti dell’aprile 1994 e dei mesi seguenti. “Il diavolo è passato nel nostro paese”, dicono in Ruanda. “Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto”: alcuni versi di una celebre meditazione di Chiara Lubich mi vengono alla mente. Mi sembra di capire l’ansia dei missionari. Due di loro, un padre bianco, Bob, e un fratello di san Gabriele, Claude, mi aspettano all’uscita dell’aereo. Con loro Dieudonné Gatzinga, un medico che, dopo anni di “esilio” in Francia, ha voluto tornare nella sua terra natale per portare lo spirito dell’unità. In effetti, con sua moglie Emerthe e alcuni altri amici sono il cuore pulsante del nascente Movimento dei focolari locale. Mercoledì 17 luglio. Oggi sono arrivati Ghassan del Libano e Deo Gratias del Burundi. In tre comporremo per un mese una piccola comunità, un focolare, a servizio della comunità. Siamo alloggiati in un appartamento affittato e arredato espressamente per noi dall’attenzione della trentina di persone che vivono già la spiritualità dell’unità a Kigali. Sono adulti, giovani, ragazzi, famiglie, religiosi La sera stessa vengono a “casa nostra” che in effetti è “casa loro”. La gioia di tutti è grande, e ci si sente subito in famiglia, come tra persone da sempre amiche. Domenica 21 luglio. Oggi si svolge in una sala del centro di Kigali un incontro per presentare il focolare. Lo si è preparato nei particolari assieme alla comunità. Ora che tutto è pronto, arrivano più di 200 persone: per diverse è il primo contatto. La vicenda di Chiara Lubich e delle sue prime compagne sotto le bombe della seconda guerra mondiale risuona in modo insolito: “Erano i tempi di guerra e tutto crollava ”. Qui non sono parole: negli anni Novanta tanti hanno perso parenti, lavoro, beni, toccando con mano la vanità di tutto. Ma “Dio è Amore”: l’annuncio, sempre singolare a qualsiasi latitudine lo si pronunci, fa breccia perché sorretto da esperienze di vangelo e la testimonianza credibile di una comunità unita al di là di ogni differenza di etnia. Al termine della giornata, c’è commozione: non manca chi ha le lacrime agli occhi. Un giovane, orfano dal 1994, confessa di avere ritrovato la fede nell’amore e anche una famiglia. Un disabile esulta per “la bellezza della fraternità che lega tutti”, e non ci vuole più lasciare. Gratitudine a Dio. Mercoledì 24 luglio. Un piccolo gruppo del movimento è ricevuto in udienza dall’arcivescovo di Kigali, mons. Thaddée Ntihinyurwa, e la sera dal nunzio apostolico, mons. Salvatore Pinnacchio. Con ambedue si discorre soprattutto dello specifico contributo che può dare il focolare alla Chiesa ruandese. Non si tratta tanto di opere educative, sanitarie o sociali – come quelle splendide già realizzate dai missionari -, ma piuttosto di un contributo di “sapienza”: quella che emana dalla spiritualità dell’unità, possibile medicina per questa società incamminata in un delicato processo di riconciliazione. Il colloquio è profondo. I due pastori consigliano, incoraggiano e benedicono. Sabato 27 luglio. Sin dalle prime ore del mattino arrivano a casa nostra adulti e giovani. Vengono da Kigali, Gisenyi e Butare: Vogliono conoscere meglio il movimento. Si parte dalla radice: la vocazione di Chiara Lubich stessa, che ha dato vita a una originale forma di consacrazione a Dio che coniuga il fascino del monastero, della vita di famiglia e della donazione a Dio nel mondo. Ci sono poi coloro che si impegnano invece direttamente nel sociale, per portare la rivoluzione dell’amore evangelico nella vita di ogni giorno, nella famiglia e sul lavoro, non senza persecuzioni, assieme al rispetto e alla stima di tanti. E poi le vocazioni religiose, coloro che trovano il loro spazio vitale nel mondo della famiglia, le nuove generazioni. Si intuisce che nel carisma dell’unità è celato un modo di vivere il vangelo alla portata di tutti. Il nostro focolare è veramente la casa di tutti: nella prima settimana trascorsa qui abbiamo assistito a un gioioso e continuo via vai di persone e di beni che ha destato sorpresa nei dintorni. Qualcuno dei vicini di casa ha voluto persino incontrarci per capire chi erano questi “strani” nuovi inquilini. Domenica 28 luglio. È da un po’ di tempo che ci era nato in cuore il desiderio di raccoglierci in uno dei tanti luoghi che ricordano il genocidio. Così oggi siamo a Nyamata, in una chiesa nella quale sono state uccise migliaia di persone, lì rifugiatesi. Sui muri crivellati dai segni lasciati dalle pallottole si vedono ancora macchie di sangue raggrumato. All’entrata una scritta: “Se avessi saputo chi sei e chi sono, non mi avresti ucciso”. In fondo è rimasta sospesa una statua di Maria, macchiata e colpita pure lei dalle pallottole. E viene in mente il grido di Paolo VI all’Onu: “Mai più la guerra”. Conforta tuttavia venire a sapere che c’è gente che ha preferito lasciarsi ammazzare piuttosto che tradire membri di un’altra etnia. Mercoledì 7 agosto. È da più di una settimana che siamo a Mbare, vicino a Kabgayi. Ci accoglie la cosiddetta “Città-Nazareth”, un bellissimo centro edificato dalle Pontificie opere missionarie, su una collina offerta in dono al papa. Qui abbiamo già trascorso giorni di gioia pura, assieme ad un’ottantina di ragazzi e ragazze venuti dai quattro angoli del paese per formarsi alla spiritualità dell’unità. Saranno le molte sofferenze da loro vissute ad averli resi così generosi e ricettivi al vangelo vissuto? E oggi incomincia la Mariapoli, l’incontro estivo di tutto il movimento. L’attesa di tutti è grande e non sarà delusa. Domenica 11 agosto. “Ciò che Babele disperde, la chiesa raccoglie; da una lingua ne vennero tante; non ti meravigliare: questo l’ha fatto la superbia. Molte lingue diventano una; non ti meravigliare: questo lo fa l’amore”. È quanto abbiamo sperimentato nella Mariapoli appena conclusa. Eravamo in 300, di tutte le età e di diverse etnie, ma l’amore di Dio ci ha fatto toccare con mano che l’unità è davvero possibile. Il sogno espresso da tanti nel pomeriggio conclusivo è di fare di tutto il Ruanda una Mariapoli permanente. È anche un impegno. Ci si lascia accordandosi per ritrovarsi in piccoli gruppi nelle varie città in modo da continuare la nuova vita intrapresa. Lunedì 12 agosto. Si sta avvicinando la fine del nostro soggiorno. Lasciamo l’appartamento di Kigali a tre giovani donne, Sylvie di Nantes, Teresia di Nairobi e Julia di Torino, che per un mese staranno quaggiù. Con Ghassan decidiamo di fare ancora un salto a Kibeho, un posto sperduto nel sud del paese, ove dicono che Maria sarebbe apparsa anni fa, chiamando tutti i ruandesi alla conversione. È Innocent che ci porta in pulmino fino al santuario nascente. Arriviamo lì al tramonto, dopo ore di cammino per strade a volte più che tortuose. Non c’è posto migliore – ci sembra – per concludere questo mese. Ci passano davanti agli occhi le centinaia e centinaia di persone conosciute, le gioie e i dolori condivisi. La preghiera è spontanea e profonda, mettiamo nelle mani di Maria la sua opera nascente in questa terra che chiama l’unità. Mercoledì 14 agosto. Sono le cinque del mattino quando arriviamo all’aeroporto di Kigali. Accanto a Bob e Claude, ci sono ora due giovani, Joseph e Pascal, da poco battezzato. Più di altri hanno condiviso la vita intima della nostra temporanea comunità. Gesù ci ha reso fratelli, è una realtà. Se Dio ci ha uniti, chi mai potrà separarci? È con questi pensieri nel cuore che ci si lascia. L’aereo sale sopra le colline, le mille colline del Ruanda.