Fra identità e pluralismo. Il nuovo libro di Roberto Catalano
Fra identità e pluralismo.
“La mia esperienza nei tre decenni trascorsi nel sub-continente indiano si potrebbe sintetizzare nella tensione costante fra identità e pluralismo. Tensione mai semplice e, spesso, anche dolorosa, ma sempre sana e fruttuosa, dalla quale sono uscito profondamente trasformato e arricchito”. Sono le parole conclusive dell’introduzione di Roberto Catalano al suo racconto. E’ da questo che partiamo per l’intervista sul suo libro.
D. Perché un cristiano sente l’esigenza di avvicinarsi e poi approfondire la conoscenza della cultura e delle religioni dell’India?
R. È una esigenza che ha radici profonde e lontane. L’Oriente ha esercitato una grande attrazione sull’uomo e la donna occidentali. Da sempre. I contatti erano già prassi comune nell’antichità anche se per motivi commerciali. Ma con il commercio viaggiano anche culture e religioni che in qualche modo presero a incontrarsi. Il cristianesimo primitivo fu da subito sensibile al subcontinente indiano. La tradizione dice che San Tommaso arrivò nel sud dell’India, in Kerala, dove vive ora una comunità cristiana radicata e inculturata. Oggi l’attrattiva resta forte e lo dimostra l’interesse che molti in Europa hanno per le filosofie dell’India. Il primato dello ‘spirituale’ e il senso di ‘mistero’ caratteristici di quella terra, e invece spesso trascurati in Europa, sono motivo di grande attrazione e di inevitabile confronto, anche e forse soprattutto per i cristiani.
D. Come può a tuo avviso entrare il cristianesimo in un dialogo autentico con la cultura indiana evitando tuttavia le derive del sincretismo, che di certo non farebbe un buon servizio né all’uno né all’altra?
R. Il rapporto del cristianesimo con le grandi culture dell’Asia (sia quelle del Sanatana dharma del subcontinente indiano sia quelle che si ispirano a Confucio e Lao Tzu) resta una delle grandi sfide. È un processo complesso. La presenza cristiana è una minoranza, ma a differenza del passato ora si tratta di Chiese che, per la loro stessa composizione, agli occhi degli abitanti dell’India non rappresentano più l’occidente. Sono protagoniste del processo di inculturazione della fede che solo le comunità del luogo possono realizzare. Si tratta di eliminare incrostazioni occidentali che rendono problematici i rapporti con le altre religioni, soprattutto per via dei trascorsi storici caratterizzati da proselitismo e conversioni. Sempre più le comunità ecclesiali locali devono dimostrare di essere profondamente cristiane e, allo stesso tempo, radicalmente indiane. Da questo potrà nascere un vero processo di inculturazione che può rappresentare un grande patrimonio per il cristianesimo ma anche per l’India e la sua cultura.
D. Tra le molte esperienze che hai vissuto in India quale ha lasciato il segno più profondo?
R. È difficile dirlo. Non si può indicare un solo fatto o una sola esperienza di vita. È l’insieme che ha trasformato il mio modo di pensare e che mi aiuta ora a pormi di fronte al ‘diverso’ partendo da quello che Socrate definiva il ‘sapere di non sapere’. L’India mi ha insegnato che per quanto studiamo, viaggiamo, incontriamo persone non è mai possibile conoscere gli altri. E allora nei rapporti non si deve mai partire dalla certezza di sapere chi è l’altro – o tanto meno di renderlo a propria immagine e somiglianza – quanto piuttosto di porre sempre la domanda: ‘Chi sei?’ ‘Come posso conoscerti?’. Da questo emerge anche un quesito simmetrico: ‘Chi sono?’, ‘Mi conosco veramente?’. In questo modo la coscienza di avere una percezione limitata dell’altro mi permette non solo di pormi in un atteggiamento che mi aiuti a conoscerlo, ma anche di essere pronto a scoprire e riscoprire chi sono io, chi siamo noi.
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