Fra i banchi di piazza Vittorio

Storia, colori, sapori e odori del più antico mercato multietnico della Capitale, oggi simbolo del quartiere Esquilino
Piazza VIttorio a Roma foto di Lalupa

A guardarla in una vecchia foto dei primi del Novecento che la ritrae ancora vuota e “metafisica” come sarebbe piaciuta a De Chirico, solo circondata da nascenti palazzoni, appare per quella che veramente è: la più grande piazza di Roma, con quasi 10 mila metri quadrati in più di quella di San Pietro. È piazza Vittorio Emanuele II, più nota semplicemente come piazza Vittorio: da cui il nome dell’ormai celebre orchestra multietnica che, valorizzando repertori musicali diversi e spesso sconosciuti al grande pubblico, offre lavoro e riscatto ad artisti stranieri che a Roma vivono talvolta culturalmente e socialmente emarginati.

 

Realizzata tra il 1882 e il 1887 da Gaetano Koch poco dopo il trasferimento della capitale da Firenze a Roma, piazza Vittorio è stata la prima fra le piazze d’Italia ad essere dedicata al nuovo re. “Umbertino” è lo stile dei condomini porticati che la attorniano: chi non sa di trovarsi nella Roma dell’Esquilino, a due passi dalla Stazione Termini, facilmente si crederebbe a Torino. Ora vi domina al centro un grande giardino intitolato a Nicola Calipari, luogo di aggregazione preferito dalla variegata popolazione di questo quartiere; giardino che contiene fra l’altro i ruderi del ninfeo di Alessandro Severo e la misteriosa Porta Magica (nella foto): ciò che resta di una villa seicentesca appartenuta al marchese Massimiliano Palombara.

 

Grazie al grande mercato all’aperto che vi si era installato spontaneamente nel primo decennio del Novecento, piazza Vittorio era divenuta punto di riferimento dei romani (per i prezzi convenienti) e dei turisti (per il folclore). Mercato ortofrutticolo, di generi alimentari e di abbigliamento, funzionante dall’alba alle due del pomeriggio coi banchi disposti lungo i quattro lati del suo cuore verde, ha animato il quartiere fino agli anni Novanta del secolo scorso: quando ormai, con l’arrivo di tanti immigrati, era diventato più simile ad un suq orientale.

 

In seguito, per esigenze igienico-sanitarie e di viabilità, per frenare i fenomeni di marginalità sociale sempre presenti in prossimità delle grandi stazioni, ma anche per porre riparo al degrado della piazza e restituire il giardino ai cittadini, l’amministrazione comunale decideva di trasferire questo universo pittoresco e vociante, saturo di colori, sapori e odori, nelle immediate adiacenze, negli spazi dell’ex Caserma Sani.

 

Dopo anni di conflitti, rivendicazioni e contrattazioni tra commercianti e comune, smantellati i vecchi banchi, nell’ottobre 2001 si alzavano le saracinesche del “Nuovo mercato coperto Esquilino”, il cui logo rappresenta i vicini archi dell’antico acquedotto claudio. Gestito da una cooperativa di rivenditori, esso rispecchia almeno una delle anime di questo quartiere. Chi infatti è interessato alla multietnicità non ha che da farvi una puntata: immerso in un caleidoscopio di razze, ammirerà i colori sgargianti dei suoi 186 banchi traboccanti come cornucopie di generi alimentari, di frutti e ortaggi spesso sconosciuti, di stoffe riccamente decorate; annuserà gli odori più strani di spezie misti a quello del pesce; avrà occasione di fare acquisti e stabilire rapporti, di cogliere al volo qualche nuova ricetta costatando quanto è vero che il cibo unisce i popoli.

 

Non solo: accanto al mercato stesso e nelle vie circostanti scoprirà, oltre a un pullulare di negozi e ristoranti esotici, la facoltà degli Studi Orientali della Sapienza col relativo Istituto Confucio, primo in Italia e secondo in Europa ad offrire corsi di cinese. E a proposito di Cina, massiccia è nel quartiere la presenza di questa comunità attraverso una miriade di negozi, per lo più di abbigliamento e bigiotteria, con vendita all’ingrosso e al dettaglio.

 

Qui sono di casa l’immigrato e il residente, il romano e l’asiatico, l’africano e il mediorientale, il sudamericano e l’europeo dei Paesi dell’Est. Accanto al cattolico, all’ortodosso, all’appartenente ad una setta cristiana, trovi il musulmano, l’induista, il sikh e via dicendo. A tutti piazza Vittorio e dintorni fanno accoglienza e da scenario per le rispettive feste tradizionali (io stesso vi ho assistito ad una processione in onore di Durga, la Dea Madre degli induisti, nel mese autunnale di Sharat, fra l’esultanza della comunità bengalese). Certo, non sempre si può parlare di convivenza idilliaca. Problemi ce ne sono, come del resto dovunque il tessuto sociale è composto da elementi estremamente diversi, e dove le condizioni di vita sono precarie e la malavita attecchisce. Non si contano i blitz dei vigili per verificare attività commerciali poco chiare o per niente in regola, e sono noti i malumori dei commercianti romani costretti a chiudere i propri negozi e a cederli a stranieri, specie quei cinesi che, tra la piazza e la stazione, hanno trasformato intere vie in una sorta di Chinatown, solo più misera di quella vera.

 

Eppure quale laboratorio di incontro e scambio di ricchezze culturali, di partecipazione, di cittadinanza attiva potrebbe diventare l’Esquilino! Lavorano in tal senso diverse cooperative sociali romane che vi hanno sede (ne è un esempio quello dell’Orchestra  citata). Sottolinea questo aspetto anche un libro edito di recente da Iacobelli: Al di là dei frutti. Dal mondo a piazza Vittorio. Nel loro girovagare nel mercato le autrici Emilia Martinelli e Angela Rossi hanno avvicinato commercianti, associazioni, semplici cittadini, artisti e scrittori, ricavandone curiosità, ricette, storie, interviste che, insieme alle foto scattate da Riccardo Floris, restituiscono di quest’angolo così particolare di Roma una immagine non superficiale, che privilegia l’uomo.

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