«Forza Libano!»
La diplomazia vaticana è certamente al lavoro, sotterraneamente, per evitare che la situazione libanese sfugga di mano ai politici e ci si ritrovi in una situazione di non ritorno. Non si sperava granché che da questo incontro vaticano potesse uscire qualche indicazione immediatamente utile per la soluzione dei problemi del Libano che sono, non bisogna nasconderselo, innanzitutto politici. Al solito, gli effetti di questi incontri potranno essere visti nel tempo. I capi religiosi – ha colpito la diversità degli abiti dei responsabili delle Chiese, espressione della multiformità del Libano stesso −, anche se non sono riusciti a trovare una posizione comune in questa situazione di crisi, in realtà sono molto più vicini di quanto lo siano i leader politici che sono espressione delle varie comunità religiose del Paese.
Il fatto è che la popolazione, di qualsiasi confessione essa sia, è allo stremo. Due anni fa, nell’ottobre 2019, i cittadini erano scesi in piazza a protestare compatti, al di là delle differenze confessionali, per il bene comune e contro corruzione e carovita, che sono ancora oggi i veri problemi del Paese, legati alle questioni internazionali della regione, che trovano nel Paese dei cedri un campo di battaglia privilegiato. Per ora non si odono i rombi dei cannoni − ma di esplosioni sì, per tutte quella gigantesca del 4 agosto 2020 −, ma la guerra è dichiarata tra schieramenti sunnita e sciita, tra Russia e Stati Uniti, tra mercanti d’armi d’ogni latitudine le cui mani grondano di sangue, tra petrolieri che vogliono mettere le mani sul petrolio e il gas recentemente trovato al largo delle coste del Libano. Guerre molteplici, senza un governo che sappia gestire il presente.
Francesco segue Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nella storica sollecitudine dei pontefici per il Paese dei cedri. Ciò si spiega perché il Libano è l’unico Paese mediorientale dove esiste e persiste una presenza cristiana cospicua, che raggiunge circa un terzo della popolazione. Inoltre, i cristiani degli altri Paesi mediorientali hanno un legame particolare con quelli libanesi, per motivi culturali ma anche economici, perché dal Libano transitano gli aiuti che arrivano da tutto il mondo per i cristiani del Medio Oriente. Francesco ha tentato di nuovo di smuovere le acque intorpidite della regione con la forza della preghiera. Vedremo nei prossimi mesi con quali effetti.
E tuttavia nel suo messaggio in conclusione della giornata s’intravvede una linea d’azione. «Noi pastori, sostenuti dalla preghiera del popolo santo di Dio, in questo frangente buio abbiamo cercato insieme di orientarci alla luce di Dio. E alla sua luce abbiamo visto anzitutto le nostre opacità: gli sbagli commessi quando non abbiamo testimoniato il Vangelo con coerenza e fino in fondo, le occasioni perse sulla via della fraternità, della riconciliazione e della piena unità. Di questo chiediamo perdono e con il cuore contrito diciamo: “Pietà, Signore!” (Mt 15,22)». Un primo passo, dunque, dichiarare il fallimento delle nostre azioni, per cui chiediamo perdono.
Ma non basta chiedere perdono, bisogna anche chiedere aiuto. «Era questo il grido di una donna, che proprio dalle parti di Tiro e di Sidone incontrò Gesù e, in preda all’angoscia, lo implorò con insistenza: “Signore, aiutami!” (Mt 15,25). Questo grido è diventato oggi quello di un intero popolo, il popolo libanese deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace. Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano». Perché «questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente».
Il papa si è quindi rivolto al popolo e ai popoli, direttamente, rivolgendo un quadruplice appello: «Voi, cari libanesi, vi siete distinti nel corso dei secoli, anche nei momenti più difficili, per intraprendenza e operosità. I vostri alti cedri, simbolo del Paese, evocano la florida ricchezza di una storia unica. E ricordano pure che rami grandi nascono solo da radici profonde. Vi ispirino gli esempi di chi ha saputo costruire fondamenta condivise, vedendo nelle diversità non ostacoli, ma possibilità». Quasi disperato, ecco l’appello del papa: «Non vi scoraggiate, non perdetevi d’animo», con una sferzante richiesta ai politici, sui quali pesa come un macigno la responsabilità dell’attuale situazione: «A voi, dirigenti politici: perché, secondo le vostre responsabilità, troviate soluzioni urgenti e stabili alla crisi economica, sociale e politica attuale, ricordando che non c’è pace senza giustizia». Senza dimenticare i libanesi della diaspora: «Perché mettiate a servizio della vostra patria le energie e le risorse migliori di cui disponete». E infine la comunità internazionale: «Con uno sforzo congiunto, siano poste le condizioni affinché il Paese non sprofondi, ma avvii un cammino di ripresa».
Ma il papa ha ricordato soprattutto la responsabilità dei cristiani: «Noi siamo chiamati a essere seminatori di pace e artigiani di fraternità, a non vivere di rancori e rimorsi passati, a non fuggire le responsabilità del presente, a coltivare uno sguardo di speranza sul futuro. Crediamo che Dio indichi una sola via al nostro cammino: quella della pace. Assicuriamo perciò ai fratelli e alle sorelle musulmani e di altre religioni apertura e disponibilità a collaborare per edificare la fraternità e promuovere la pace». Infine, manifestando una sensibilità fuori dal comune, il pontefice ha voluto pure citare un poeta che è un simbolo condiviso del Libano sofferente, Khalil Gibran: «Oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta». Le luci delle lampade che hanno contrassegnato quest’appuntamento vaticano sono state associate dal papa ai giovani, vera forza del Paese, come ha dimostrato anche la rivoluzione più recente nelle vie di Beirut: «I giovani sono lampade che ardono in quest’ora buia. Sui loro volti brilla la speranza dell’avvenire».
Calcisticamente, i prelati riuniti in Vaticano avrebbero gridato un solo slogan: «Forza Libano!».