Forza e fragilità della libertà di stampa

Uno strumento a servizio della verità che incontra tanti ostacoli. Il ruolo della coscienza e lo stretto legame con la democrazia.
Nuovi giornali indipendenti in Africa

QUALE LIBERTÀ NELLA STAMPA?
di Alberto Barlocci, Ciudad Nueva Argentina
 
Nel 1996 il Congresso argentino votò all’unanimità – fatto raro – una mozione che chiedeva di presentare davanti alla Corte Internazionale dell’Aja la questione dell’illegittimità del suo mostruoso debito estero. Silenzio assoluto nei media.
Diversi giornalisti risposero di non essere autorizzati dalla redazione a pubblicare notizie su questo tema. Quando si parla di libertà di stampa, in genere ci si riferisce alla normativa esistente in Paese o a situazioni estreme, come la violenza esercitata nei confronti di giornalisti. La problematica esiste: in Cina, a Cuba o in Kazakistan siamo lontani dalla libertà di espressione. In Messico scrivere su un cartello della droga può costare la vita.
Ma dovremmo porci delle domande anche rispetto al rovescio della medaglia: quanta libertà di stampa esiste all’interno dei media? Il New York Times ha ammesso, e chiesto scusa, per come ha trattato il tema dell’invasione dell’Irak, quando le voci che ne mettevano in discussione gli argomenti del governo erano relegati alla pagina 18 o alla 24, mentre in prima pagina erano pubblicate le posizioni a favore. Il presidente sindacalista brasiliano, Inacio Lula da Silva, è stato a lungo presentato, da una parte dei media, in modo esclusivamente critico, con dovizia di esperti che vaticinavano catastrofi economiche per il Paese, oggi trasformato, invece, nella sesta economia mondiale.
Una cosa è la linea editoriale, altra è non poter pubblicare certe tematiche, nonostante provengano da fonti verificate, in base a motivi ideologici. Pensiamo a come spesso “bisogna” presentare l’Islam, il fenomeno del terrorismo o la realtà geopolitica, o come determinati politici siano favoriti e altri penalizzati.
È difficile percorrere una strada diversa dall’autoregolazione e dall’esercizio della democrazia, sapendo che essa per definizione non sarà mai un modello perfetto. Ma che è la coscienza critica e attiva dei cittadini a migliorarla. Anche nel caso dei media.

Ciudad Nueva – Argentina
ciudadnueva@ciudadnueva.org.ar

 
 
UN CONTINENTE CHE SI LIBERA DALLA “CULTURA DEL SILENZIO”
di Liliane Mugombozi, Africa New City           
 
Nonostante i numerosi problemi che la attanagliano, l'Africa sta cambiando a velocità sorprendente. Negli ultimi vent'anni, i giornalisti occidentali sono stati testimoni dell'ondata di democrazia che ha travolto l'Africa intera, con la fine dell'apartheid in Sudafrica, e i complessi conflitti in Somalia, Ruanda, Liberia, Congo e altri Paesi. Ma occorre una capacità di lettura adeguata della complessità del Continente: con oltre un miliardo di abitanti, 54 Stati, quasi tremila lingue, l'Africa è così varia quante son le storie che dovrebbero descriverla.
Il boom dei media, negli ultimi anni Ottanta e primi anni Novanta, ha accompagnato il movimento per le riforme democratiche. All'improvviso le strade delle città capitali si sono riempite di giornali, e la “cultura del silenzio”, imposta prima dal colonialismo e poi dalle dittature militari post-coloniali, si è rotta bruscamente.
Quando il Daily Nation, uno dei maggiori giornali indipendenti africani, ha festeggiato i suoi 50 anni il 18 marzo 2010, l'opinionista Charles Onyango Obbo ha scritto: «Molti di questi 50 anni sono stati un inferno per i media africani. In effetti, il periodo di maggiore libertà sono stati i 15 anni tra il 1990 e il 2005».
Le stazioni radio, in particolare, hanno avuto uno sviluppo straordinario, riuscendo a riunire su più vasta scala le lingue locali, favorendo un'identità culturale positiva in molte comunità. Oggi il web e la telefonia mobile funzionano da trampolino per i vecchi media, moltiplicando le fonti di informazione.
Per quanto possano essere deboli, i media – soprattutto quelli indipendenti – hanno dato un contributo notevole ad elezioni libere e trasparenti, alle transizioni post-belliche e al ripristino della pace. In altri casi hanno purtroppo fomentato odio, xenofobia e crimini. Di qui il richiamo costante ad un giornalismo responsabile e costruttivo, soprattutto nei luoghi di conflitto. L'instaurazione di leggi repressive è stata uno strumento largamente usato per limitare la libertà dei media, ma l'Unione africana e altre istituzioni hanno adottato protocolli vincolanti sulla libertà di stampa. Come nota il giornalista camerunense Pius Njawe, «la creazione di infrastrutture regionali che si occupano della libertà di stampa è di grande aiuto nel consolidare la democrazia in Africa. In questo modo, i giornalisti africani continuano a ricevere sostegno in patria e all'estero».

Africa New City – Kenya
newcityafrica@mbambu.com

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