Forza Africa, con l’Ubuntu

Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme. La riflessione di una giovane africana  
Africa

Antonio Rui de Noronha poeta mozambicano morto nel 1943 (prima del processo di indipendenza africano) scrisse la poesia Africa Surge et Ambula, cioè alzati e cammina: «Dormi e il mondo marcia o patria del mistero… dormi e il mondo va seguendo… in cima svolazzano corvi desiderosi di scendere e bere a piccoli sorsi il tuo sangue ancora caldo in carne sonnambula… risvegliati. Il tuo dormire è più che terreno, senti la voce del tuo progresso, quest’altro Nazareno che estende la sua mano e ti dice: Africa surge et ambula».

 

Gli echi di quel grido di Noronha si odono fino ad oggi. La memoria del popolo, che ha costituito la storia del nostro continente, spesso si ricorda dei nomi di Kwame Nkrumah, Amilcar Cabral, Samora Machel, Leopold Senghor, leader politici che lasciarono un segno tangibile nella nostra storia, avendoci condotto all’indipendenza politica. Memorie e date che i nostri cuori hanno stampato e sigillato per sempre.

 

Una volta ottenuta l’indipendenza, tanti dei sogni sembravano divenuti realtà, potevamo gestire i nostri paesi, costruire l’Africa che volevamo. Il popolo in festa poteva scegliere finalmente i suoi leader politici, scelti per lavorare per il bene della comunità. Anche se ad esempio il Sudafrica era ancora sotto un vergognoso regime, l’apartheid.

 

Oltre ai tanti abusi subiti dai neri in quel periodo, è interessante rileggere stralci del discorso dell’allora presidente del Sudafrica Pieter W. Botta, noto come il “passaggio del Rubicone” del 15 Agosto 1985 che tra l’altro diceva: «I neri non possono governarsi da soli, date loro delle armi e si uccideranno a vicenda. Sono buoni a fare null’altro che rumore… accettiamo il fatto che l’uomo nero è simbolo di povertà, di mente inferiore… io ho un comitato che cerca il metodo migliore per incitare i neri gli uni contro gli altri e incentivare omicidi tra di loro». Un lungo discorso per dimostrare l’incapacità del nero di governarsi. Sono parole che fanno pensare alla strada che come africani stiamo prendendo.

 

Se diamo uno sguardo alla nostra realtà di oggi, è facile notare i problemi: disoccupazione, mancanza di scuole, di terra, di acqua potabile. Voltid’una società caduta nella corruzione, che si dimentica il senso dell’etica e che conseguentemente stabilisce un rapporto governo-nazione non trasparente. Quante volte sentiamo parlare di separazioni, guerre, cospirazioni che provocano la divisione tra popoli e tra figli della stessa nazione? Ormai le frontiere che ci dividono si trovano anche dentro lo stesso Paese, la stessa città, lo stesso villaggio, la stessa famiglia. Frontiere difficilissime da attraversare. La mediocrità ci spinge a rassegnarci, a ricercare la realizzazione personale, senza nemmeno misurarne le conseguenze.

 

Una delle cose ovvie che si può costatare è che continuiamo ad essere economicamente dipendenti. Dipendenti delle donazione per far quadrare il bilancio annuale dello stato, per esplorare le risorse naturale e umane, per investire in ciò che crediamo, per governare i Paesi nella libertà. Ogni anno le nostre nazioni ricevono degli aiuti, una specie di “Piano Marshall” che ha come fine quello di contribuire per lo sviluppo economico.

 

Però i risultati li vediamo: basta guardare alla situazione e alle condizione di vita in cui si trovano gran parte degli africani. Gli indicatori e il calcolo del PIL pro capite ci dicono che il 40% della popolazione africana si trova nella fascia dei poveri del mondo. La classifica delle condizione di vita all’interno della società mostra che c’è il problema dell’indebitamento degli stati, la corruzione, la mancanza di investimenti. Qualsiasi indicatore mostra che c’è da riflettere.

 

Troviamo nei nostri paesi una disuguaglianza tra minoranza ricca e maggioranza povera che mai ha goduto i benefici degli “aiuti” versati. Surge et Ambula. Si continua ad importare ciò che si potrebbe produrre: esempi classici sono gli alimenti, l’elettricità, il gas, il vestiario.

 

Le potenzialità ci sono per sfruttare bene le nostre risorse, sia umane che materiali, ma in quasi tutti i nostri Paesi, parte delle nostre risorse sono esplorate dalle multinazionali e l’altra parte dagli esploratori illegali in condizioni disumane, per fini che non rientrano nello sviluppo delle nazioni. Si è mai pensato di versare questi aiuti per sviluppare la tecnica? Di investire nella formazioni del personale locale per sviluppare il settore industriale, in modo a riuscire ad avere internamente dei prodotti finiti? A pianificare, così da ottimizzare la gestione delle aziende?

 

Si parla oggi dell’importanza di camminare insieme, di fare le cose in rete. Facciamoci un po’ di domande: perché metterci in rete? Cosa vuoi tu da me ed io da te? Quanto spendiamo io e te in energie per concretizzare i tuoi e miei progetti? In Africa abbiamo già delle organizzazioni che dovrebbero rafforzare il potenziale dei Paesi: ad esempio l’Unione Africana, composta della quasi totalità dei paesi africani. A livello regionale troviamo varie comunità, specialmente quelle economiche come l’Unione del Maghreb (UMA), la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), la Comunità dell’Africa orientale (EAC) e altri. Risultati? Si sa che tutte queste organizzazione, anche se sorte con obbiettivi abbastanza incoraggianti e belli, hanno scarsi mezzi ed è come se non esistessero.

 

Tutto questo potrebbe scoraggiare, ma ricordiamoci che noi africani abbiamo la filosofia Ubuntu, riassumibile così: “Io sono perché noi siamo”. Nelle nostre culture si trovano tanti esempi che la rendono non un’utopia ma una realtà. Ad esempio in Mozambico è usanza fare il famoso Xitique che è una pratica di risparmio e di credito rotante. Si basa su amicizia e fiducia reciproca, rafforzando la socialità. Di solito è composto da un gruppo di amici, fratelli, vicini che stabiliscono un importo in soldi e anche la periodicità del versamento di esso in un determinato periodo. L’obbiettivo del xitique è aiutarsi a vicenda ad acquistare dei beni che da soli non si riuscirebbe. É una rete che vuole stabilire la solidarietà, la pace, l’amore. Infatti i problemi di uno diventano di tutti.

 

I fondi circolano tra i membri del gruppo e ogni mese/anno, in funzione del tempo stabilito, un membro alla volta riceve soldi da tutti. Ognuno stabilisce un obiettivo da raggiungere, ma ci arriva soltanto con l’aiuto degli altri, che si assicurano che i soldi siano utilizzati per l’obbiettivo in programma. Cosi con i suoi e quelli degli altri riesce a concretizzare vari progetti. Qualche volta le persone cedono il loro turno a qualcuno che ha più bisogno. In questo modo stabiliscono una vera fratellanza, che rende le persone più trasparenti nel gestire insieme i problemi.

 

È un semplice esempio di quello che abbiamo nei nostri valori culturali, una possibile risposta a tanti dei nostri problemi. Come questo ce ne sono altri. Le scelte che facciamo determinano la storia che vogliamo costruire, ma quale storia vogliamo costruire? Nelson Mandela diceva che i veri leader devono essere in grado di sacrificare tutto per la propria gente e che un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è arreso. Surge et Ambula Africa.

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