Forse domani mi uccideranno

Il titolo del libro (edito da Sonzogno) è eloquente. E non solo. Dopo una settimana che lo avevo comprato, l’autrice, Ingrid Betancourt, candidata alle elezioni presidenziali di maggio, veniva rapita da un sedicente gruppo delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie di Colombia. Già la Colombia. Una terra affascinante, un popolo meraviglioso travagliato da una spirale di cieca violenza che sembra non finire mai e non risparmiare nessuno. Una violenza che cova nel proprio seno e semina ovunque distruzione, dolore, lutto. Ancora più recente è l’ennesimo efferato delitto di cui si sono macchiati sicari misteriosi: l’assassinio dell’arcivescovo di Cali, mons. Isaias Duarte, viene crivellato di colpi proprio di fronte ad una chiesa che era andato a visitare. Il libro si legge tutto d’un fiato: non è altro che l’autobiografia di una donna che ha cercato, con la sola forza dei propri ideali, di opporsi alla cancrena della corruzione, vera fonte della sofferenza di tanti colombiani. Membro da sempre della high society bogotana, allevata nella bambagia, Ingrid fin da piccola ha avuto coscienza del privilegio di essere cresciuta in una famiglia benestante, che le ha assicurato una buona istruzione, l’affetto e il calore di genitori premurosi. E proprio questo privilegio, l’ha sempre vissuto come un debito di giustizia verso la sua nazione. Entrata da giovane in politica dapprima nel partito liberale, dopo qualche tempo si rende conto delle regole che governano il Parlamento. Commistioni con il narcotraffico, compromessi etici, ricatti, pressioni, minacce, sono all’ordine del giorno. Capisce che l’unica cosa da fare è fondare un partito nuovo, nella speranza di ottenere una nuova purezza politica da offrire ai colombiani, e con essa una nuova speranza per un popolo oramai esasperato e sfiduciato nei confronti delle istituzioni. Riesce a catalizzare attorno a sé moltissimo entusiasmo al punto da poter divenire senatrice. Ma non basta. Occorre una soluzione radicale: e così matura la decisione di presentarsi alle elezioni presidenziali. Una vita dura quella di Ingrid: costellata di fallimenti sul piano personale (il fallimento del matrimonio e l’abdicazione del suo ruolo di madre sull’altare dell’impegno politico), e non immune da contraddizioni etiche. Ma sempre ferma nel ricominciare. Difficile, in base solo al libro, formulare un giudizio esaustivo su questa donna, il cui coraggio e forza ideale non possono, tuttavia, non colpire. L’epilogo della vicenda, speriamo non definitivo, certamente ci inchioda di fronte ai grandi imperativi etici coi quali prima o poi coloro che sono impegnati in politica devono fare i conti, rispondendo o con un compromesso o con una decisione coerente, anche fino alle estreme conseguenze. E ci sembra che Ingrid Betancourt appartenga a questa seconda categoria. Domani forse mi uccideranno è un libro da leggere. Appartiene alla grande schiera di libri che hanno l’obiettivo di svegliare il lettore da un torpore che a volte può narcotizzarlo, offuscando il suo senso critico verso i fatti che accadono attorno a lui. A presto, Ingrid! Speriamo di poter un giorno leggere, scritto dalla tua penna, il seguito dell’affascinante storia della tua vita.

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