Forconi e ribellioni nell’Italia del disagio
In vista del voto di fiducia di oggi, 11 dicembre, al governo Letta, si preannunciano nuove azioni eclatanti per bloccare rifornimenti e merci al grido di «l’Italia si ferma» e «ribellarsi è un dovere» da parte di un cartello di diverse sigle poco conosciute come, tra gli altri, Cobas latte, Azione rurale veneto, Movimento autonomo trasportatori e i Forconi nati in Sicilia, che offrono il logo più eclatante della protesta.
Le immagini della conferenza stampa dei promotori delle manifestazioni – iniziate, con epicentro Torino, il 9 dicembre dal cosiddetto Movimento dei forconi – consegnano i modi informali di persone semplici che incontri al bar e sulla strada. L’invito esplicito alla rivolta non accetta collegamenti con partiti e sindacati, accusati di organizzare finte manifestazioni e accettare tavoli di discussione che si rivelano inconcludenti. La pretesa è quella di portare in piazza non i parolai ma chi ha i calli del lavoro sulle mani e si trova in un Paese in mano a governanti incapaci, come ha espresso in maniera efficace il siciliano Mariano Fattore il 24 novembre a Bovolone, vicino Verona, nei vari incontri preparatori della manifestazione del 9 dicembre: «Massacrati dalla globalizzazione che ti porta in casa cinesi, come a Prato, e perseguitati da uno Stato che ti dovrebbe proteggere e invece aizza Equitalia, che sequestra gli strumenti del lavoro della tua azienda».
Casta e poliziotti senza casco
È sempre difficile leggere ciò che accade nella realtà vincendo la tentazione di applicare automaticamente le proprie categorie interpretative. Buona parte dei commentatori politici stanno lentamente uscendo dallo sconcerto della marea dei voti del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni politiche, raffigurati come tanti testimoni di Geova che occupano piazza San Pietro. Esiste un sommovimento nella pancia della Nazione che è complesso comprendere in maniera adeguata. In tempi di social media, tanti si sono fatti cronisti diretti degli avvenimenti di Torino e degli altri luoghi della protesta, restituendo un certo smarrimento anche in militanti di sinistra che hanno visto esprimere quel disagio sociale che denunciano da tempo, non riuscendo, perciò, a inscatolare tutto nella connessione tra interessi di padroncini, bottegai, pezzi di tifoseria e organizzazioni di estrema destra.
In questo senso va letta anche la dichiarazione del segretario generale del sindacato di polizia Siulp, Felice Romano, che, contraddicendo le note normalizzanti della questura circa una pretesa simpatia tra manifestanti e personale di pubblica sicurezza, ha affermato che «quanto accaduto a Torino, a Genova e in tutte le altre città, nonostante i soliti delinquenti professionisti del disordine che hanno dato sfogo alla loro indole criminale e violenta, senza però riuscire a separare il “Paese” (cittadini e poliziotti), merita un plauso a tutti quei colleghi di tutte le forze di polizia che oggi, in modo professionale e coraggiosamente hanno detto simbolicamente basta alla lontananza della politica governativa e dei palazzi del potere rispetto ai danni che stanno producendo contro le famiglie e i lavoratori. Togliersi il casco in segno di manifesta solidarietà e totale condivisione delle ragioni a base della protesta odierna, di tutti i cittadini che hanno voluto gridare basta allo sfruttamento e al soffocamento dei lavoratori e delle famiglie italiane, è un atto che per quanto simbolico dimostra però che la misura è colma e che i palazzi, gli apparati, e la stessa politica ormai sono lontani dai problemi reali dei cittadini e troppo indaffarati ai giochi di potere per la propria sopravvivenza e conservazione della casta».
Marginali nell’agenda politica
Affermazioni rudi e nette che generano sconcerto, ad esempio, nel segretario generale dei metalmeccanici Cisl, Marco Bentivogli: «È uno scandalo che la celere si tolga il casco di fronte a chi ricatta altri lavoratori. Nelle ultime manifestazioni dei metalmeccanici non è mai accaduto». Bentivogli invita a riconoscere tra gli organizzatori anche realtà come Casa Pound (da ultimo promotrice di un’alleanza europea con la greca Alba dorata, ndr).
C’è da dire che in alcuni video di promozione della manifestazione del 9 dicembre compaiono le foto di tutti i politici da mandare a casa, dimenticando solo Silvio Berlusconi, facendo presagire intenti golpisti. Ma un movimento di ribellione non può controllare tutto e Fattore, che ne è uno dei portavoce con il suo inconfondibile cappellino da agricoltore di provincia, ha diffidato di scendere in piazza con pugni chiusi o saluti fascisti.
Come evolverà il tutto mentre in Italia, come ha rilevato l’Eurostat, ormai ci sono 18 milioni di persone toccate dal fenomeno dell’impoverimento, è tutto da immaginare. Anche la mite Coldiretti ha recentemente organizzato il blocco del Brennero per denunciare la contraffazione degli alimenti made in Italy grazie a una normativa europea che spiazza i produttori italiani. E tanti micro scioperi dei lavoratori della logistica stanno avvenendo nel silenzio dell’informazione che non prende in considerazione le fasce marginali del lavoro globalizzato.
Sicuramente non tutti coloro che sono al centro dei vari eventi avranno letto l’ultimo Bauman, ma nella raccolta (Danni collaterali, Laterza) delle sue lezioni sulla crisi della democrazia svuotata di contenuti, si offre una prospettiva che può aiutare a comprendere ciò che sta avvenendo: «Sono certo che l’esplosiva miscela risultante da una disuguaglianza sociale in un continuo aumento e l’accrescersi di quella sofferenza umana che releghiamo alla sfera della collateralità (considerandola marginale, estranea, che non rientra legittimamente nell’agenda politica) sta dimostrando di essere, potenzialmente, il più disastroso dei tanti problemi che l’umanità potrebbe vedersi costretta ad affrontare e a risolvere in questo secolo». La paura dei forconi e dei manganelli, la solitudine di tanti che si scoprono esclusi rende chiaro che non si tratta di argomenti da conferenza.