Fontem, eredità di Chiara Lubich

Una testimonianza sulla cittadella del Movimento dei Focolari, in Camerun

Non si comprendono fino in fondo le motivazioni per cui una patologia endemica della regione, cioè la malattia del sonno, sia divenuta circa cinquantanni fa talmente diffusa e letale da mettere in dubbio la sopravvivenza del popolo Bangwa colpendo soprattutto la popolazione infantile, già di per sé bersaglio preferito e mortale della malaria.

Comunque di fronte a questo annientamento del suo popolo, il vecchio re, il fon Defang, dopo aver senza plausibili effetti invocato tutti gli Spiriti Tradizionali, decise di risolversi a mettere in campo anche gli “Spiriti”, rappresentati dai vescovi delle chiese cristiane. Fu così che un vescovo cattolico olandese, monsignor Peeters, recandosi a Roma per il Concilio, incontrò Chiara Lubich e le chiese di prendersi cura del problema.

Sostanzialmente Chiara fece un contratto con il vecchio re con contenuti “morali” e materiali: per i secondi chiese terreni e le palme per costruire il focolare, la scuola e l’ospedale, per i primi, facendo appello al suo “Spirito” che imponeva la pace, predicò l’amore reciproco, chiese la cessazione di ogni lotta tribale e di essere ricambiata (da tutto il popolo Bangwa, i confinanti ed anche dai suoi fratelli che avrebbero lavorato a Fontem) dello stesso amore che aveva portato lei a soccorrere quella popolazione.

I medici inviati con il primo gruppo si misero a lavorare in una capanna simile alle abitazioni della gente, a servizio della popolazione, senza pensare di rivoltare il mondo. Invece fu proprio quello che riuscirono a fare, debellando completamente la mortalità da febbre del sonno, praticamente allontanando dalla popolazione questa patologia, anche se ovviamente il merito se lo presero altri.

Il patto con il vecchio Fon è stato suggellato nel 2009 da diciotto Fon di quella regione, in occasione della celebrazione del primo anniversario della morte di Chiara. La fondatrice non chiese in cambio conversioni di massa, secondo l’uso medievale, ed oggi anche se a Fontem esiste una bellissima chiesa e il focolare con diversi cattolici, questo non ha impedito che la maggior parte della popolazione professi ancora la fede negli Spiriti della foresta e degli antenati.

Lo spirito di servizio nei confronti di quella comunità (oggi esteso anche a Besalì, del popolo dei Mundani, con le complicità del progetto dell’Unicoop, Firenze e di alcune iniziative della Regione Toscana) è rimasto lo stesso dei primi tempi sia nell’ospedale che nella scuola che ospita ragazzi provenienti da tutto il Camerun, con la caratteristica di avere un numero maggiore di donne ed essere per risultati la terza scuola di tutto il paese. La sanità poi si distingue per il suo livello e per l’accoglienza comunque fatta alla popolazione che vi si rivolge, con spirito di umanità disponibile e di grande tolleranza per tutte le tradizioni popolari, che non sono poche e talvolta francamente ingombranti.

Dell’eredità di Chiara Lubich, Fontem costituisce un capitolo importante. Della sua fantasia visionaria sulle cittadelle del Movimento, Fontem ha realizzato in pieno la parte più utopica del pensiero di Chiara. Ha riportato la pace fra quelle popolazioni. Ha portato l’educazione scolastica, restituendo alla donna africana, particolarmente oberata, almeno la sua dignità umana. Ha riconciliato quelle popolazioni con la fede cristiana (che non è stata più la teologia degli oppressori dominanti dell’epoca coloniale né quella astorica e occidentalizzata dei missionari), ma quella di una netta sequela della Parola.

Il prezzo della “civilizzazione” non è stato pagato con le “conversioni”: non vi è stato mercato spirituale. Ha onorato la cultura del luogo e dei popoli che vi convivono, fecondandola con lo spirito dell’amore reciproco e dell’unità: “Ecco una donna che ha compreso la nostra anima africana” fu il commento del popolo alla sua prima visita; in particolare ha rispettato la profonda religiosità africana ed il loro culto degli Spiriti fino a promuoverne la conoscenza interconfessionale. Ha praticato l’apertura ecumenica nei confronti delle altre religioni rappresentate in quel territorio. Ha rispettato le numerose autorità di quelle genti, nelle varie forme in cui venivano espresse, accettando, nei loro costumi, di essere a sua volta onorata da quei popoli, facendosi “una con loro”.

Ha promosso la salute di quelle popolazioni sconfiggendo alcune malattie endemiche e diffondendo pratiche sanitarie corrette e scientificamente adeguate. Ha fecondato la vita civile con un esempio fattivo di soccorso al prossimo, di solidarietà, con una pratica sociale di perfetta uguaglianza a cui si è inchinata anche la gerarchia sociale. Ha fatto conoscere la realtà africana a tanti giovani e a tante persone disperse su tutto il pianeta, facendole collaborare al suo sogno per l’unità in quella terra di Fontem.

Ha accolto la felicità ed il sorriso di quei popoli, ai quali la miseria non è scudo per la festa e per la gioia di vivere, li ha talmente introiettati che li ha trasmessi a tante persone di varie culture diverse. Ha pazientemente accolto la venerazione per le tradizioni locali, aspettando che maturassero le condizioni per la trasformazione di quei vincoli che misconoscono la dignità umana e della donna in particolare.

(dal blog di Pasquale Lubrano)

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