Fondo monetario e Banca mondiale: come cambiarli?

Prof. Zamagni, è sotto gli occhi di tutti il malfunzionamento del sistema economico internazionale, in particolare di istituzioni quali il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale (Bm): i loro dirigenti sono incapaci o in malafede? “Credo non sia vera né l’una né l’altra: pensiamo a Camdessus, cattolico impegnato che per anni è stato al vertice del Fmi. La ragione è un’altra: queste istituzioni sono nate a Bretton Woods, nel 1944, perché dovevano servire – come è scritto nel preambolo dei loro statuti – la causa della ricostruzione post-bellica dei paesi occidentali. “Oggi la situazione è completamente cambiata. Anzitutto sotto il profilo finanziario: l’instabilità dei mercati finanziari, con il loro “effetto domino” – il contagio delle crisi – è evidente. Quando i mercati dei capitali erano in mano a un numero ristretto di paesi, era relativamente facile controllarli; oggi non è più così”. Non ci sono solo i problemi finanziari: quel che manca è lo sviluppo reale. “Vero. I paesi occidentali uscirono distrutti dal secondo conflitto; possedevano però i cosiddetti “fondamentali”, cioè sapevano già che cosa voleva dire svilupparsi e possedevano istituzioni economiche di mercato, il sistema bancario, il sistema degli incentivi, il sistema fiscale, ecc. Oggi invece abbiamo la situazione di paesi in via di sviluppo, spesso usciti da un regime coloniale e privi delle strutture economiche in grado di recepire i messaggi che provengono dalle organizzazioni internazionali. Quindi è perfettamente inutile che il Fmi si rechi in un paese africano o latino-americano e dica: “Voi dovete seguire una politica di bilancio severa, e favorire la formazione di risparmio”; è inutile perché questi paesi non hanno il mercato dei capitali locale, e quindi il risparmio che si genera, inevitabilmente viene portato all’estero. Non basta dire: “Vi diamo l’incentivo per creare attività industriali”, perché non c’è la competenza per farlo, il capitale umano formato in maniera adeguata”. In che cosa allora questi strumenti internzionali vanno riformati? “Bisogna riscrivere gli statuti e ridefinire completamente il loro ruolo e la loro funzione. In primo luogo, bisogna stabilire che l’obiettivo degli interventi di questi organismi dev’essere lo sviluppo integrale dei paesi rimasti indietro nella corsa della globalizzazione: dunque, non guardare soltanto agli indicatori macroeconomici, cioè aumento del prodotto interno lordo (Pil), abbassamento del tasso di inflazione, aumento del tasso di occupazione, come si continua testardamente a fare. Non bisogna puntare soltanto sull’aumento della crescita economica, che è solo un elemento dello sviluppo integrale; gli altri elementi sono le condizioni che rendono umana la vita di società, quali l’abbattimento delle disuguaglianze, il processo di democratizzazione, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. “Un importante indicatore di sviluppo è la riduzione delle povertà sia assolute che relative. Bisognerebbe dire: “Io ti do un prestito se tu, nei prossimi tre anni, mi riduci del 5 per cento la povertà; io ti do gli aiuti se tu mi riduci gli analfabeti”; questo non viene fatto, e il risultato è che i paesi “aiutati”, per rispettare le norme imposte dagli organismi internazionali, tagliano la spesa pubblica soprattutto nella sanità e nell’educazione. La Tanzania, ad esempio, aveva un’alfabetizzazione del 75 per cento ai tempi di Nyerere, mentre oggi è calata al 35 per cento”. Ma anche se volessero, Fmi e Bm hanno i poteri per cambiare il loro modo di intervenire? “No. E questo è il secondo principio riformatore da introdurre: tali organismi dovrebbero essere dotati di poteri autonomi rispetto ai grossi potentati economici e ai governi nazionali. Fmi e Bm sono democratici solo “formalmente”. Bisognerebbe dar loro uno statuto internazionale simile a quello che, a livello nazionale, hanno le authorities; in tal modo, potrebbero intervenire senza guardare in faccia a qualunque governo. Finché Fmi e Bm dovranno tenere conto degli interessi dei paesi più potenti, la loro azione non potrà essere efficace”. Non sarebbe il caso di mettere in discussione anche i destinatari abituali dei fondi internazionali? “È il terzo principio da applicare, forse quello più ricco di conseguenze: la sussidiarietà a livello transnazionale. Significa che a questi organismi bisogna chiedere che il criterio allocativo dei fondi stessi sia di darli ai soggetti che maggiormente garantiscono il raggiungimento dell’obiettivo, come avviene tuttora, e non ai governi nazionali molti dei quali sono corrotti. “I soldi vanno dati ai soggetti che dimostrino di gestirli al meglio; se tali soggetti sono i governi, bene. Per fare il caso dell’Argentina: non si capisce perché il Fmi debba dare i fondi al governo argentino, che gode di una pessima credibilità, e dunque nessuno può sapere come quei fondi verranno gestiti, e non, invece, ad altri soggetti della società civile argentina che darebbero maggiori garanzie: pensiamo alla Caritas e a tanti altri”. Dunque lei indica tre princìpi in base ai quali rifondare il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale: sviluppo integrale, autonomia di potere, sussidiarietà transanazionale nell’erogazione dei fondi. “Sì. Sono tre principi che, se applicati, sarebbero più che sufficienti per cambiare il volto della terra. Quel che si esige è che i “G8″ abbiano il coraggio, il sussulto di umanità, per riunirsi attorno a un tavolo e firmare un accordo di questo tipo. Non si capisce perché i grandi paesi del mondo siano riusciti a trovare l’accordo per la lotta al terrorismo e non lo trovino per la lotta alla povertà”. Nuovi organismi globali per la finanza globale Intervista al sen. Oscar Peterlini Sen. Peterlini, la mozione del Gruppo per le Autonomie, di cui lei è il primo firmatario, partendo dalla crisi argentina svolge un’analisi di carattere generale sul sistema finanziario mondiale, che viene motivatamente criticato, arrivando infine a una proposta molto forte: fare una nuova “Bretton Woods”, per ridefinire radicalmente il ruolo e il funzionamento del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. “La mozione esprime una preoccupazione molto sentita in Italia, sia per la solidarietà nei confronti dei concittadini argentini, sia per le perdite che hanno subìto i nostri investitori. Penso che non dobbiamo limitarci a voler recuperare i nostri soldi, perché la soluzione si può trovare solo andando alla radice dei problemi. Per questo bisogna pensare a un nuovo sistema, non di mero salvataggio, ma capace di prevenire le crisi, e di dare sicurezza e vantaggi a tutti i soggetti coinvolti nel mondo finanziario”. La vostra mozione ha raccolto consensi in entrambi gli schieramenti: per quale motivo? “Hanno aderito 47 senatori e 42 deputati, da Rifondazione comunista (alla Camera) ad Alleanza nazionale, passando per tutte le forze intermedie. Il nostro gruppo si pone in mezzo tra i due fronti, e questo forse ha evitato i preconcetti. Credo che in una assemblea legislativa si debba anzitutto cercare solidarietà, come abbiamo fatto”. C’è anche la posizione di chi, dagli errori degli organismi internazionali, ricava soltanto motivi per depotenziarli o addirittura abolirli: che cosa ne pensa? “Il mercato finanziario è già globale,ma mancano tutte le regole, ognuno può fare quello che vuole. Le grandi, recenti crisi dimostrano che, invece, servono proprio delle regole e degli organismi che le facciano rispettare: anzitutto – per quanto riguarda gli investimenti e il mercato dei capitali -, servono regole di trasparenza dei bilanci e di garanzia sui dati di bilancio, con standard che permettano di confrontare i dati. E poi servono nuove regole sul Fmi, che anziché aiutare lo sviluppo danneggia i paesi poveri”. Quale sviluppo prevede per questa mozione? “Un effetto già lo ha raggiunto: di aprire un’ampia discussione, coinvolgendo rappresenti politici, del mondo economico, in particolare coloro che si occupano dei fondi pensione, perché direttamente coinvolti nelle vicende della finanza internazionale. Gli iter parlamentari sono lunghi, ma confido che venga approvata dal Senato, impegnando il governo a muoversi nella direzione indicata dalla mozione. Sul piano internazionale, poi, l’Italia potrebbe proporre il rinnovamento delle istituzioni economiche e della politica finanziaria internazionali. Credo che sia importante, per raggiungere questi obiettivi, il ruolo dell’opinione pubblica” Il sen. Oscar Peterlini si è a lungo impegnato nella politica regionale del Trentino-Alto Adige. In particolare nel settore previdenziale, dove ha creato un sistema di fondi pensione garantiti dalla Regione: il “PensPlan”, riconosciuto come innovativo nell’ambito della previdenza complementare.

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