Foglie
Maria Teresa Giuffrè, scrittrice siciliana, sensibile e attenta agli stati d’animo, alle incrinature dolorose, ai sussulti emotivi, così come abbiamo potuto apprezzare nei suoi precedenti libri La veglia di Adrasto e I colori della mattanza, ci trasporta, con la sua raccolta di racconti, dal titolo Foglie (Caramanica Editore), nel magma del suo mondo poetico, dove la parola illumina e svela le molteplici e imprevedibili sfaccettature dei protagonisti delle sue storie: il dirigente sospeso dal suo lavoro che torna furtivamente nella sua azienda per afferrare il significato di una sconfitta, il filotranviere prossimo alla pensione che viene assalito dai ricordi e dal rimorso per un gesto inconsulto e violento, una donna morente che intravede il suo futuro oltre la soglia terrena, un figlio che, di fronte alla sua nascente famiglia, riscopre il legame con colei che gli ha dato la vita, la segregazione della figlia di un medico di paese vittima del pregiudizio, la solitudine e l’amarezza di una segretaria d’azienda rimossa dal suo ufficio, l’attesa cena familiare, carica di speranze, della vigilia di Natale, la scoperta amara e lacerante del tradimento da parte del proprio coniuge, e tante altre ancora. La vita di questi personaggi, sospesa nel baratro o nella speranza di una ripresa, priva di consolazione o misteriosamente salva, è segnata sempre dal ritmo silenzioso del tempo, lì dove sono deposti i ricordi, gli affetti, i rimorsi, le antiche consuetudini, il dolore vivo e le brevi gioie. Ogni vicenda è come una foglia, illuminata dal sole o scossa dal vento, bagnata dalla pioggia o strappata dalla mano impudente, nel suo aprirsi alla vita o anche morente nella stagione autunnale, si resta avvinti dai colori sempre cangianti di queste foglie, che compongono, pur nella diversità delle situazioni, un affresco vasto e unitario. L’umanità, per la Giuffrè, è come un grande albero che resiste a tante stagioni, passando dai freddi inverni alle caldi estati, e quando qualche ramo secca o viene reciso, le nuove foglie riportano linfa e nuovo vigore. Un foglio bianco, scrive l’autrice, è la mia casa.Non sai quante frasi sbagliate, termini inesatti, righe da sopprimere minacciano ogni giorno la mia casa. Posso subire un umiliante sfratto, può accadere che ripensamenti e cancellature non mi lascino neppure un piccolo spazio per rifugiarmi nella parola casa…ma non si sopravvive al tragico venir meno delle parole. Di qui la necessità di rifugiarsi, nel suo lavoro di scrittrice, in questa simbolica casa, dove il vissuto prende risalto. Se nel fallimento naufragano tante parole, benedette quelle parole che non tradiscono, che si attaccano alle cose, raccontano i fatti e te li aggiustano un poco, li fanno andare meglio di come sono andati, ti fanno capire che poi, alla fine, non importa se hai sempre parlato poco e se non parli più con nessuno, perché loro, alla fine, ma che dico, prima della fine, loro parlano e testimoniano per te. Maria Teresa Giuffrè ha fatto propria la frase di Elias Canetti: Non credo che qualcuno sappia che cosa sono le parole. Neanch’io lo so, e tuttavia le sento: io sono fatto di parole , per cui saranno sempre le parole strumento unico a testimoniare l’universo uomo, a scoprire le sue assenze, i suoi spazi privati, i suoi i ricordi e i suoi slanci ideali. Restano vive nell’animo, a chiusura del libro, le sue creature, sospese tra il presente e il divenire, scosse dall’urto della realtà imprevista, ma sempre, nel guizzo fantastico dell’arte, in una radicale fedeltà alla vita accettata come mistero di sofferenza e di bellezza.