Foggia: la festa sporcata di sangue
Il tricolore che sventola festante in questi giorni grazie alla vittoria dell’Italia nell’Europeo è sporco di sangue, sangue innocente. Da parte di chi? Della mafia che minaccia il desiderio di gioia e di felicità della gente e soprattutto dei bambini. In queste ore un bimbo di sei anni è in fin di vita, colpito da un proiettile durante i festeggiamenti di domenica sera. Una piccola vittima innocente messa in mezzo alle vergognose tresche e vendette mafiose che macchiano la voglia di ripartenza e di crescita del popolo foggiano.
La provincia pugliese non è nuova ad agguati mafiosi negli ultimi tempi, perciò occorre indignarsi, denunciare, non abbassare guardia. Nel comune di San Severo, durante i festeggiamenti in piazza, infatti, un agguato a colpi di pistola ha ucciso un pregiudicato per precedenti di droga di 42 anni. Insieme a lui, a festeggiare la vittoria calcistica europea, su uno scooter c’era il nipote di 6 anni, coinvolto nella sparatoria. Il piccolo adesso è in pericolo di vita ricoverato all’ospedale Riuniti di Foggia, con la sola “colpa” di essere in strada per gioire: a causa di un proiettile all’addome è in coma farmacologico, in fin di vita.
Sono in corso le indagini per ricostruire l’agguato di cui qualche scena è stata ripresa con lo smartphone di un passante, oltre alle telecamere della zona, anche se la gente riversata in piazza non facilita le operazioni. Dovrebbe trattarsi di una vendetta, si può dire, volontaria nei confronti del bambino.
Nel 2002, proprio il papà del piccolo (morto in un altro agguato nel 2017) si era reso protagonista di una sparatoria di cui un proiettile vagante ferì gravemente una ragazza di dodici anni. Si colpisce quasi spudoratamente e in modo meschino i più piccoli. In quel caso obiettivo della violenza era una vendetta sentimentale nei confronti di un uomo. È una cronaca triste che sporca di sangue la bandiera tricolore, che in questi giorni sventola e, seppur per un evento calcistico, sta ridando maggior unità nazionale.
Ancora una volta queste tragedie immobilizzano perché mettono in pericolo, oltre che la vita della gente, anche le speranze e il futuro. Sono così intrise nelle catene del passato, della sua carica di vendetta che non fermano il grilletto neanche davanti a giovanissime vite, che in ogni caso, incarnano il futuro. La mafia trancia le vite, “senza onore“. Quell’onore che spesso i mafiosi pensano di applicare, sprigiona la sua violenza sui bambini, cioè coloro incapaci di reagire… con la violenza!
Foggia, la sua provincia e la Puglia intera devono essere scosse dalla semplicità con cui molta gente è libera di muoversi armata, di giocare con il rischio e con la vita altrui e della scarsa sicurezza. Durante altri festeggiamenti, quelli di Capodanno, per inaugurare il nuovo anno da un balcone, furono sparati quattro colpi di pistola in aria. Questo pericoloso gesto fu commesso nientedimeno che dal presidente del Consiglio comunale di Foggia che successivamente si dimise.
È proprio assurdo questo binomio festa-pistola, eppure, anche se con sfumature diverse, continua ad essere una triste tendenza ed è comune anche tra le istituzioni locali. È necessario intervenire con misure di sicurezza da parte delle istituzioni. È in corso una riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica con la prefettura di Foggia e il sindaco di San Severo Francesco Miglio il quale afferma: «Ciò che ci lascia scioccati è la ferocia bestiale di queste persone che non si sono fermate neanche dinanzi alla presenza di un bambino».
Da questo episodio è il futuro ad essere messo in pericolo, forse gli aggressori stessi non ne sono consapevoli davvero. In questo modo l’intera comunità non cresce, non può evolversi, perciò è fondamentale non arrendersi, fare cittadinanza, sollecitare la gente all’impegno per il ben comune, come già a Foggia si fa da tempo grazie alle associazioni e al presidio di Libera.
La voce di don Luigi Ciotti deve risuonare incessante anche dopo quest’altra pagina triste per la provincia pugliese: «Siamo fermamente convinti che la lotta alla mafia non può fermarsi alla pur fondamentale azione repressiva, ma chiede un impegno che unisca la dimensione politica, sociale, educativa e culturale, dove ciascuno quindi è chiamato a fare la propria parte».
Adesso è il momento di essere uniti da cittadini e da popolo, stretti come durante l’inno, attorno al piccolo che lotta tra la vita e morte, in questo limbo in cui è entrato da vittima innocente di mafia. Una lotta da fare senza armi, ma con l’unica risorsa possibile: la speranza.