Fmi e Banca Mondiale: incontro a Marrakech
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale avevano deciso nel 2018 di tenere il loro incontro annuale 2023 a Marrakech, in Marocco; portando così l’evento nel continente africano, dove l’ultimo meeting di questo tipo si era tenuto a Nairobi, in Kenya, 50 anni fa, nel settembre 1973. Per un’intera settimana, dal 9 al 15 ottobre 2023, all’insegna del tema “Azione globale, impatto globale”, la riunione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali di oltre 180 Paesi vedrà una raffica di iniziative, tra cui conferenze stampa, seminari, workshop e simposi che abbracceranno un ampio spettro di argomenti.
Sebbene il calendario originale sia stato ritardato dalla pandemia, gli osservatori del continente ritengono che la scelta del luogo sia particolarmente significativa, viste le numerose sfide che l’Africa deve affrontare. L’evento si svolge in una città e in un Paese ancora provati dal devastante terremoto di settembre. Carlos Lopes, professore presso la Nelson Mandela School of Public Governance dell’Università di Città del Capo, ritiene che «ospitare questi incontri nel continente africano per la prima volta in mezzo secolo, in tali circostanze, abbia un immenso valore simbolico, in quanto serve a dimostrare la resilienza».
Diversi Paesi sono alle prese con una crisi del debito, mentre le conseguenze del cambiamento climatico e un tasso di povertà che si sta riducendo a un ritmo più lento che altrove stanno colpendo duramente il continente.
Nella Dichiarazione di Nairobi, a conclusione del Vertice sul clima in Africa dello scorso settembre, l’Unione Africana e i capi di due istituzioni finanziarie e climatiche hanno chiesto un periodo di grazia di 10 anni sul pagamento degli interessi sul debito estero per consentire alle nazioni di affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. «In Africa, non possiamo risolvere il problema del clima se non risolviamo il problema del debito», hanno scritto i capi di Stato africani.
L’Africa contrae prestiti a un costo fino a otto volte superiore a quello delle nazioni più ricche. Secondo David McNair, direttore esecutivo della Campagna One, il continente sta pagando un costo del 500 per cento sui prestiti del mercato dei capitali rispetto a quelli disponibili attraverso la Banca Mondiale.
«La ripresa dagli shock economici di questo decennio – da una pandemia alla guerra in Ucraina – è lenta e disomogenea», ha avvertito la scorsa settimana il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) Kristalina Georgieva, sollevando l’urgenza della lotta globale alla povertà.
Tuttavia, con tante crisi globali che mettono in difficoltà i Paesi, il mondo vuole verificare se il Fmi e la Banca Mondiale riusciranno ad aiutare i Paesi a rispondere alle difficoltà del debito, al cambiamento climatico e all’impatto economico dei conflitti.
Le due istituzioni non sono esenti da critiche: alcuni le accusano di spingere all’austerità e di aumentare il divario tra i Paesi ricchi e quelli poveri del mondo. A giugno, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha espresso le sue critiche, affermando che la risposta della Banca Mondiale e del Fmi alla pandemia di Covid-19 è stata un «clamoroso fallimento», che ha lasciato decine di Paesi indebitati.
Anche molti organi ufficiali di tutta l’Africa hanno espresso le loro critiche sulle politiche delle due istituzioni, che negano alle economie l’accesso al credito e ai prestiti, spesso imponendo ai governi scelte impossibili.
Sebbene queste politiche siano volte a prevenire l’insolvenza dei Paesi, in Africa tenere il passo con i prestiti ad alto tasso di interesse significa ridurre i fondi destinati alle necessità più importanti, ai giovani e alle infrastrutture, ha dichiarato Nadia Fettah, ministro dell’Economia e delle Finanze del Marocco.
«Quando parliamo di quante risorse finanziarie sono disponibili, dobbiamo scegliere tra la sicurezza alimentare e il debito, o tra i finanziamenti per il clima e gli investimenti economici esterni: abbiamo bisogno di entrambi», ha detto. Ed ha aggiunto: «I Paesi emergenti hanno bisogno di tutto questo e il futuro della crescita mondiale ha bisogno della crescita in Africa».
Dall’Egitto al Ghana, queste scelte hanno scatenato opposizione negli ultimi mesi. E per anni sono state alla base delle critiche secondo cui le 2 istituzioni escludono le nazioni più bisognose dalla loro governance e dal processo decisionale.
Josh Lipsky del centro GeoEconomics ha affermato che ora «c’è ottimismo: il Fmi sta accennando a rivedere le sue proiezioni al rialzo e ci sono maggiori possibilità di un atterraggio morbido non solo per gli Stati Uniti, ma per l’intera economia globale».
Tuttavia, Lipsky ha ricordato che «c’è anche preoccupazione: la guerra in Europa, e ora in Israele, ha ricordato ai partecipanti a questi incontri quanto rapidamente la geopolitica possa cambiare i calcoli. Ancora una volta, politica estera e finanza si sono intrecciate». Ed ha auspicato la possibilità «di tracciare una mappa di come le istituzioni possano navigare in questa nuova era di geoeconomia».