Flessibilità mentale e cooperazione nella ricerca del partner
È diffusa la convinzione che gli uomini abbiano paura delle donne forti, ma è veramente così? E se questo fosse vero, di quale forza si sta parlando? Non sarebbe forse più giusto dire che entrando in competizione tra i sessi si perde la natura dell’incontro tra maschile e femminile e lo si trasforma in un ring?
Personalmente credo che gli uomini non temano le donne forti, né come forza muscolare, né come forza fisica, né come intelletto, penso piuttosto che gli uomini, come ogni essere umano, temano l’aggressività latente, non dichiarata, che si nasconde nella persona che gli sta di fronte e che di fronte a “stimoli nuovi” si trovino disorientati. Alcune volte nell’incontro si percepisce una sottile sfida, quasi un test all’altro, nel quale, in qualunque modo egli si ponga, risulterà perdente, poiché costantemente cambiano le regole del gioco; altre volte è necessario dare tempo all’altro per costruirsi una nuova mappa concettuale della situazione. Nella prima situazione si tratta di situazioni in cui si innesca, quasi inconsapevolmente e senza volerlo, un gioco di potere che non viene esplicitato e neanche riconosciuto. L’altro è come in una trappola. Nella seconda invece tutto il sistema di conoscenze e modi di fare della persona si trova a dover essere rivalutato. Si può generare cioè una riformulazione critica del proprio sistema di credenze e di quello del contesto sociale di appartenenza.
Una risorsa indispensabile in questi tipi di situazione è la flessibilità mentale, cioè la capacità di uscire fuori da sé, imparare a conoscere ed ascoltare bene l’altro e provare ad osservare la situazione con occhi diversi, dal punto di vista di un osservatore, cioè allenare la capacità di vedere la scena da un punto di vista diverso. Così facendo ci si distacca da eventuali schemi ripetitivi o da pregiudizi interiorizzati e si aumenta la possibilità di osservare nell’altro cose che altrimenti non avremmo visto.
Nei casi citati è facile osservare come l’interlocutore appare disorientato, intento a radicarsi in un copione (modo di fare sempre identico a se stesso) interiorizzato in cui sa come muoversi, oppure cerca nel qui ed ora di risintonizzarsi velocemente per agire di fronte a situazioni “non previste”. Si tratta di schemi di comportamento che in parte esprimono la nostra indole, in parte abbiamo acquisito attraverso il modello educativo e poi riconfermato attraverso le esperienze di vita. In pratica, quello che velocemente interpretiamo come paura o disagio dell’altro è una serie di reazioni a catena che possono avere inizio già nel nostro modo di porci e poi convergono nel naturale modo di reagire dell’altro di fronte ad uno stimolo (che siamo noi). Una regola di sottofondo nelle interazioni comuni è che il comportamento è il risultato dell’interazione stessa, cioè, fatto salvo i casi di soprusi e di violenza, i due interlocutori hanno lo stesso grado di incisività sulla situazione, a patto che lo utilizzino ed a seconda di come lo utilizzino.
Accanto alla flessibilità mentale si rivela strategica la capacità di cooperare per la buona riuscita dell’incontro, ove per buona riuscita dell’incontro non si intende certo che si è trovata l’anima gemella o un buon amico. Si intende invece che ci si è conosciuti, compresi e rispettati nelle proprie individualità senza entrare in competizione, sottomissione, compiacenza o nel giudizio, lasciandosi coinvolgere ed interessare dal modo di essere dell’altro pur rimanendo se stessi.
Spesso nel lavoro con i single, ho ascoltato la delusione per un ennesimo appuntamento conclusosi male, in cui a turno ci si vittimizzava o colpevolizzava per non essere stati apprezzati o compresi o per non essere piaciuti e/o abbastanza. Dietro era sempre riconoscibile il bisogno di cercare un colpevole per dare senso o per lenire la frustrazione, spiegazioni di cui la nostra mente ha bisogno per darsi una ragione, anche quando una ragione non c’è.
A ben pensarci la storia della causa da cercare in sé o nell’altro non ha senso, è il continuo tentativo di cercare un capro espiatorio. Un secolo di psicologia ci ha insegnato che ciascuno di noi: va bene così come è, con i suoi pregi e difetti; ha una storia che motiva il suo essere così; può ambire a raggiungere il massimo delle sue personali possibilità quando si trova in contesti appropriati; ha dei comportamenti automatici acquisiti che ripete nel tempo; resta comunque capace di riflettere su di sé ed i propri comportamenti; può intenzionalmente fare molto per automigliorarsi ma non può snaturarsi, deve imparare ad accettare cioè quelle parti di se che non sono modificabili; e può imparare a distinguere gli aspetti da migliorare da quelli che deve accettare.
Stando così le cose resta da chiedersi, al di là dell’opportunità di conoscere una persona, se anche in questo incontro non è andata come speravo, vorrà dire che anche questa volta non era l’incontro per me.