Il Flauto magico a Roma
È un’opera per tutti, piccoli e grandi. Anzi, vedendo lo spettacolo fantasioso trasportato al Teatro dell’Opera dalla Komische Oper di Berlino, viene da dire che è necessario tornare bambini per apprezzare l’allestimento curato da Paul Barrit (video), Esther Bialas (scene e costumi), Ulrich Lenz (drammaturgie) e Diego Leetz (luci). Siamo negli anni ’20, i cantanti-attori e il coro vestono in marsina e cilindro, mentre sul fondo schermo scorrono immagini dei film muti, marionette, donnine, animali volanti – Dumbo, colombe e poi fiori –, disegni animati dai fumetti. La Regina della notte è farfalla e ragno mostruoso, Monostatos ha la faccia di Nosferatu, Papageno richiama Buster Keaton, Pamina Louise Brooks. I recitativi sono per lo più proiettati senza voce, mentre il fortepiano del XVIII secolo suona brani di Mozart.
Insomma è Mozart, il birichino spiritoso, il bambino-prodigio mai cresciuto che si diverte a parodiare sé stesso in un mondo immaginifico? L’impressione è questa. Del resto, Il Flauto magico, anno 1791 – quello della morte – è una favola bella d’amore e di sogni incantanti, dove i cattivi perdono e i buoni vincono. Forse Mozart alla fin fine non era troppo convinto di rituali massonici, di Iside e Osiride, di tenebre e luce, ma della ricerca dell’amore e della felicità, di sicuro. Come il pubblico della periferia viennese che lo applaudiva e quello di oggi, vista la popolarità immensa dell’opera (insieme a poche altre, come Aida, Traviata,Tosca, Bohème, Barbiere, Carmen).
Una favola dunque, divertente. Ma il Mozart giocherellone riserva le punte malinconiche del suo io più profondo nelle arie di Tamino e Pamina, a chi vuol vedere e sentire l’“altro” Amadeus. Lo spettacolo ha cercato di esprimerlo in silenzi densi, ma forse ci si poteva spingere un po’ più in là. Veniamo alla musica che è molto, se non (quasi) tutto. I cantanti-marionette tutti bravissimi, dallo stupendo basso Gianluca Buratto (Sarastro), ad Amanda Forsythe (Pamina), da Christina Poulitsi (Regina della notte) a Juan Francisco Gatell (nobile Tamino), ad Alessio Arduini (Papageno), a Marcello Nardis (Monostatos). Perfetto il coro.
La direzione di Henrik Nànàsi, a capo di un’orchestra molto impegnata, con un suono finalmente rotondo, ha privilegiato toni scuri e grandiosi, con gran sfoggio di ottoni e legni (bravissimo il primo flauto), ma forse a scapito degli archi, ridimensionando la sublime leggerezza mozartiana (l’ultimo duetto Papageno-Papagena, preceduto da un’esplosione in pieno schermo, ha impedito di ascoltare l’eleganza dell’incipit). Spettacolo accattivante, e, diciamo la verità, da vedere. La musica? Sempre più bella, con la voglia di ascoltarla per quello che è. L’anima giocosa e triste, ricca di sbalzi di umore, d’inventiva e di pensiero, di Amadeus. Che in musica ha detto tutto. Repliche fino al 17.