Flags of our fathers
È famosa la foto dei sei marines che issano la bandiera a stelle e strisce su un colle durante la cruentissima battaglia di Iwo Jima contro i giapponesi. Clint Eastwood ha deciso di raccontarla, super partes, in due film, produzione Spielberg. Nell’attuale essa è vista dalla parte americana, nell’altro, che uscirà tra alcuni mesi, sarà vista dalla parte nipponica. Il film si snoda in tre momenti diversi. Costituisce nel suo insieme una riflessione sulla guerra, più che una esposizione di fatti. Il tempo odierno è quello del figlio di uno dei tre alzabandiera sopravvissuti, che svolge ricerche personali. Poi ci sono il tempo del terribile combattimento, durato parecchi giorni, e quello del ritorno in patria, dopo alcuni mesi, dei tre militari per essere presentati al pubblico come eroi, onde raccogliere fondi per le armi. A scene tormentate per l’asprezza degli scontri, ne succedono altre, esteticamente perfette, che impressionano per i grandiosi apparati bellici, all’interno Mostri sacri dei quali appare insignificante la sopravvivenza di singoli soldati. Angosciosamente, esse si ripresentano ai marines, tornati nell’elegante mondo americano, mostrando loro la falsità della parte che devono sostenere. Il regista punta a smitizzare l’idea dell’eroe, tenuta in piedi mediaticamente per sostenere la guerra. In realtà, i tre non si ritengono eroi e faticano a parlare delle azioni belliche, preferendo ricordare solo i momenti di solidarietà e di cameratismo sereno. Così, con questa pellicola molto disturbante, Clint porta un contributo sincero all’attuale ripensamento sulla guerra, spiegando come egli stesso abbia cambiato il proprio orientamento nel corso della vita. Il finale è consono a quanto egli ha riconosciuto, che l’America ha bisogno soprattutto di gente comune capace di vivere con onestà, generosità, impegno, la vita di tutti i giorni. Regia di Clint Eastwood; con Ryan Philippe, Jesse Bradford, Adam Beach.