I “fiumi volanti” caduti su Petropolis
A Petropolis le squadre di soccorso cercano ancora nel fango oltre 200 persone che mancano all’appello. Negli obitori ci sono oltre 130 morti, ma i soccorritori ne hanno localizzati altri 200 circa. I numeri finali si sapranno più avanti, ora è tempo di salvare vite. Le immagini del fiume di fango che ha trascinato lungo i colli dove si arrampica questa città di 300 mila abitanti, sono impressionanti e lo scenario che hanno lasciato gli smottamenti di terra è dantesco. Centinaia di famiglie hanno perso tutto durante le piogge, le più intense degli ultimi 90 anni.
La corte imperiale brasiliana degli Orleans y Bragança (dal 1822 al 1889), si trasferiva qui durante l’estate, in una residenza costruita dall’imperatore Pedro II nel 1845. Sita in una zona montuosa a 838 metri d’altitudine e a meno di 70 chilometri da Río de Janeiro, Petropolis è un luogo fresco e al riparo dal calore estivo. Le origini storiche hanno consentito a Petropolis di conservare le sue attrattive turistiche. Ma con gli anni la città è cresciuta arrampicandosi sulle elevazioni che la circondano, ed oggi il 20 per cento dei suoi abitanti vive in precarie case costruite in zone a rischio. Già nel 2011 le piogge torrenziali provocarono centinaia di vittime in varie città per le stesse ragioni, come spesso accade in tante metropoli sudamericane, circondate da bidonville (in portoghese: favelas) spesso situate in zone pericolose in caso di piogge e costruite ignorando ogni criterio urbanistico ed eventuali piani regolatori, quando ci sono. Sembra incredibile la passività delle autorità municipali – non solo di Petropolis – di fronte al sorgere di insediamenti in zone pericolose. La questione è che questo significa potenziali votanti per chi pratica il clientelismo.
Una combinazione letale di imprudenza, incuria e irresponsabilità associate ad un fenomeno climatico conosciuto ed abituale. Si tratta dei cosiddetti “fiumi volanti”, che fanno parte del sistema di distribuzione dell’umidità in tutto l’immenso bacino amazzonico. Dall’Atlantico tropicale giungono sul continente grandi masse di nubi per effetto dell’evaporazione del mare. I venti alisei le spingono sull’Amazzonia dove, per effetto dell’evaporazione dei grandi fiumi, le nubi si ingrossano ancora di più. C’è poi da considerare il contributo della stessa foresta: un albero di grandi dimensioni può trasudare anche mille litri d’acqua al giorno, che si immette nell’atmosfera rimanendo sotto i due mila metri.
Se si osserva la cartina geografica, si noterà che la cordigliera delle Ande forma una immensa falce concava dal lato Atlantico. L’immensa quantità di umidità, stiamo parlando di fiumi volanti che trascinano miliardi di tonnellate di acqua, descrive una curva non potendo superare la catena montagnosa. Quando si scontra con una massa di aria fredda, le nubi scaricano l’acqua soprattutto su Brasile, Bolivia, Uruguay, nord Argentino ed in generale sul Rio de la Plata. E questo succede abitualmente, spiegando la piovosità di queste zone. Ma in alcuni casi, ciò può avvenire con una intensità eccezionale e in pochissimo tempo. Le precipitazioni verificatesi a Petropolis a metà febbraio scorso hanno raggiunto in tre ore la media mensile. Il terreno ha fatto il resto.
I meteorologi non attribuiscono il fenomeno al cambiamento climatico, ma è un fatto abituale. Certo l’aumento della temperatura media e soprattutto l’avanzata della deforestazione dell’Amazzonia, che lo scorso anno ha riguardato solo in Brasile oltre 13 mila chilometri quadrati di foresta, non possono che rendere più frequenti i fenomeni estremi.
Con l’incoscienza che lo caratterizza, il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, in visita al luogo della catastrofe, ha affermato che non è possibile prevedere tutto ciò che può accadere in un territorio di 8,5 milioni di chilometri quadrati, alludendo alla superficie del Brasile. Eppure, spesso basta guardarsi attorno facendosi carico delle proprie responsabilità per comprendere che molti disastri si possono prevedere, e prevenirne le conseguenze.