Il fiume Mekong diventa in parte salato, rischio siccità

Potrebbe sembrare uno scherzo, ma chi vive alla foce del grande fiume, in questo periodo dell’anno vede l’acqua dal mare risalire il Mekong: manca infatti il flusso d’acqua dolce, trattenuta più a monte. Le conseguenze sono gravi

Aprile, maggio e giugno sono tre mesi molto pesanti in Asia per quanto riguarda la siccità: siamo alla fine della stagione secca in attesa delle piogge che giugno, in genere, porterà.

La stagione secca è iniziata a novembre e dopo cinque mesi il caldo e la siccità si fanno davvero sentire: l’acqua scarseggia ovunque nella regione. In alcune zone le temperature sfiorano – come all’interno della Thailandia nella zona di Sakhonakorn vicino al confine col Laos -, i 42 gradi: così anche in Laos e Cambogia.

Il Mekong, il grande fiume della regione, il settimo in Asia ed il 12esimo al mondo per lunghezza, nasce in Tibet, dove scorre nella sua prima parte in mezzo alle montagne per circa 2.200 km, toccando poi Yunnan, in Cina, dove diventa il largo e “immenso” fiume che conosciamo. Poi scorrerà per atri 2.600 km dalla China verso Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e infine Vietnam, per sfociare col suo delta nel Mar Meridionale della Cina.

Il suo nome vero, nella regione, è “Mae Khong”, ovvero “la madre Khong”. Ed infatti è stata davvero una madre per millenni, dando vita a foreste, laghi ed ospitando nel suo letto i giganteschi pesci gatto, tartarughe e delfini d’acqua dolce. E tutto questo non è altro che vita per milioni di persone: si parla di 60 solo nel suo ultimo tratto, anche se il numero di coloro che beneficiano dalle sue acqua non può essere, in realtà, stimato.

MekongUna madre delle acque che, come questo giornale ha più volte scritto, è già fortemente limitata dalle troppe gigantesche dighe che sono state costruite e da altre che lo saranno nell’immediato avvenire. Nel mondo il Mekong è già ad oggi, il fiume più “sviluppato” (leggere “violentato”) per scopi commerciali: gli impianti idroelettrici. Le 11 dighe cinesi già limitano il Mekong, facendone, come molti dicono, una vera e propria arma idrica. Praticamente è lasciata alla mera e benevola discrezione della Cina il limitare oppure il rilasciare l’acqua per le nazioni a valle: Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam.

La Commissione per il fiume Mekong, ovvero la M.R.C., non è riuscita a svincolarsi in questi anni importanti per le decisioni da adottare, dagli intrighi politici e dalla corruzione, per dire la nuda e cruda verità, segnando il destino di questo fiume sulla base della malafede dei suoi sfruttatori. L’acqua del fiume, non venendo rilasciata a monte da chi detiene le chiavi delle prime 11 dighe, non defluisce a valle, lasciando il fiume fortemente impoverito dal punto di vista idrico, ma anche ittico.

Cambogia e Vietnam sono, e saranno nel futuro immediato, le nazioni maggiormente colpite dalla crisi idrica e dalla siccità del fiume Mekong. Come riporta un’inchiesta di Aljazeera e soprattutto del giornale VN Express, nel 2019, dallo studio delle foto satellitari, l’altezza dell’acqua del fiume è passata da 7,5 metri a soli 2,5 metri. Ma nella stagione secca, proprio come in questo periodo, l’acqua del fiume, per il 50% dipende dallo scioglimento dei ghiacciai alla sua sorgente, in Tibet: pertanto è la Cina che controlla il deflusso a valle del “Dragone a nove teste”, come viene anche chiamato il Mekong.

A Cambodian Muslim school boy heads to a school from his family's wooden boat where they live on Mekong River bank near Phnom Penh, Cambodia, Wednesday, May 29, 2019. (AP Photo/Heng Sinith)
Il fiume Mekong in Cambogia (AP Photo/Heng Sinith)

Naturalmente, mancando il flusso imponente di acqua dolce al suo delta, il dragone sperimenta in questa stagione l’arrivo dell’acqua salata che risale dal mare, fino a 4 grammi di sale per litro: sia per il Mekong, ma anche per alcuni suoi affluenti. Pericolosamente l’acqua salata risale da 40 km fino a 90 km verso l’interno. Un vero disastro per le culture, i pozzi di acqua dolce e la vita del bacino più fertile per la coltivazione del riso di tutto il Vietnam, famoso nella cultura vietnamita da centinaia di anni, per dar da mangiare a milioni di vietnamiti. Ed oggi, noto anche nel mondo intero, visto che il Vietnam detiene il terzo posto come esportatore di riso al mondo: il riso del delta del Mekong è pregiatissimo e sempre più ricercato. Si stima che 30 mila ettari di terreno siano stati contaminati dal sale in quest’anno: la crisi idrica del 2016 è già stata ampiamente superata nel 2020.

Naturalmente tutti accusano la Cina, nazione che anche sperimenta in questo periodo dell’anno una grande siccità e perciò un fabbisogno di acqua che non le permette, nonostante le promesse, di aprire le sue 11 dighe per i Paesi a valle. Attualmente, il totale delle dighe costruite per sfruttare “mamma Khong”, sono 102 tra Cina, Laos e Cambogia: entro il 2030 saranno 120, decretando, in pratica, l’impoverimento totale di questa (una volta) immensa riserva di acqua e di vita per milioni di persone.

La M.R.C., la famosa commissione di studio e decisione sul fiume Mekong, dovrebbe essere un vero strumento per la salvaguardia degli interessi della gente e non un mero luogo di discussione praticamente nelle mani del più forte. La civiltà obbliga a chiedere alla comunità internazionale d’intervenire decisamente presso i governi del M.R.C. affinché non venga dimenticato che il fiume Mekong è patrimonio di centinaia di milioni di persone e non delle aziende che ne sfruttano la risorsa idrica per puri e miopi, oltre che egoistici, scopi commerciali.

È il bene comune che dev’essere salvaguardato: il bene della gente che non ha voce, delle popolazioni che non possono essere dimenticate o sottovalutate. Un Mekong salato non serve a nessuno e porterà solo distruzione e morte per milioni di cittadini. La sua acqua dolce, la sua vita, dev’essere a tutti i costi salvaguardata.

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