A Firenze è di scena il Cinquecento
Settanta opere di 41 artisti a Palazzo Strozzi, luogo ideale per una rassegna su una stagione artistica irripetibile. Alcuni nomi: Michelangelo, Andrea del Sarto, Rosso, Pontorme, Salviati, Bronzino, Vasari tra i pittori; Bandinelli, Giambologna, Cellini tra gli scultori. E poi il trittico delle Deposizioni-Compianti di Pontormo Rosso e Bronzino, per la prima e forse unica volta insieme, precedute dalle opere dei loro maestri, Andrea del Sarto e Michelangelo. Scene di spettacolo sacro, di devozione dal forte significato “eucaristico” (non troppo antiluterano, però, come si scrive, perché Lutero credeva alla presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata): il corpo sempre bello e luminoso del Redentore viene offerto all’adorazione dei fedeli. Ma il clima cambia da pittore a pittore, anche perché si va dagli anni Venti ai Quaranta del secolo.
La Deposizione del Rosso, anno 1521, viene da Volterra: un urlo stridente, tinte dissonanti, forme “cubiche”, disperazione anticlassica ed un cielo plumbeo. I discepoli sono agitati da un vento furioso che ne scompiglia le vesti e ne innervosisce i volti, dai lineamenti stravolti. La Maddalena in rosso (come nella Crocifissione di Masaccio a Napoli) corre ad abbracciare una Madonna svenuta, Giovanni singhiozza coprendosi la faccia. Solo il Cristo ha il volto dolce della Pietà vaticana. Tutto è tragedia in forme neo-medievali così astratte ed elettriche da diventare espressionismo puro.
Il Compianto del Pontormo (1525-1528), da Santa Felicita in Firenze, è un lamento velato di lacrime sbigottite. Solo la sublime musica dello Stabat Mater di Pergolesi lo può commentare. Il corpo perlaceo del Cristo viene calato da un cielo metafisico, tra pianti e sospiri rosa-azzurri cangianti, come ha insegnato Michelangelo nella Volta Sistina. La tavolozza brilla di cangiantisi raffinati: rossi che si sfanno in rosa e in bianchi, azzurri che si perdono in celesti e in grigi, un cielo di panna, una discesa dall’alto senza spazio né luogo né tempo, nel clima di una malinconia dolce e triste, di dolore consumato in elegia.
La Pietà del Bronzino (1543-1545), da Besancon, è una preghiera cristallizzata in colori di ghiaccio e di perla, col fuoco bruciante di una visione intellettuale piena di amore. Angeli e santi stanno intorno a formare un coro ansioso e parlante. Brilla la luce fredda del Bronzino che parrebbe raggelare le emozioni, mentre invece le trasforma in parole del cuore.
Tre capolavori, tre geni. Ma non solo loro. Guardiamo l’Annunciazione di Francesco Salviati,di superba eleganza, l’Immacolata di Giorgio Vasari con le citazioni degli amati nudi michelangioleschi, e piccoli-grandi capolavori come la Resurrezione di Santi di Tito da Santa Croce,un dramma dipinto di notevole dinamismo, ed infine la Deposizione di Pietro Candido, il solo che ha capito la lezione espressionista del Rosso.
Firenze così passa dal classicismo perfetto dei primi anni del secolo al grande fiume del Manierismo in piena età della Riforma cattolica, sempre sotto l’ombra dei Medici. La vena classica non muore, anzi continua in forme ora raffinate ora monumentali.
Ci pensano gli scultori. Cellini scolpisce un Apollo e Giacinto di sensualità ellenistica, di dolcezza estenuata, fornendo un modello di bellezza ricercata; Giambologna un Crocifisso bronzeo di plastica fortezza, incombente su di noi con decisione ed un Mercurio volante nell’aria, l’Ammannati invece un gruppo gigantesco dove Ercole soffoca Anteo.
Ma non ci sono solo loro. Le schiere di artisti presso la corte medicea di Cosimo I e Francesco I producono lavori insigni, e sarebbe offensivo chiamarli “minori”. Penso ancora a Jacopo Zucchi che dipinge un Amore e Pische già barocco nell’eleganza e nel calore e agli artisti disposti a sperimentazioni stilistiche ardite, come nello Studiolo di Francesco I, il granduca alchimista,a Palazzo Vecchio.
Una generazione di pittori, Allori e Vasari in testa,che ha evocato il mondo sulfureo della ricerca in forme di squisita raffinatezza. Siamo ad un culmine della perfezione estetica: la bellezza che diventa non solo sogno o mito, ma Verità.