Finmeccanica e armi, un paradosso italiano

Alcuni numeri sul gruppo industriale sotto controllo pubblico, dopo la conferma della maxi commessa sui 28 caccia bombardieri venduti al Kuwait. Restano aperte le domande sulle scelte strategiche dell’Italia in un mondo in guerra
Moretti Ansa

Nell'incontro del 16 marzo presso la Camera dei deputati promosso dai giovani del Movimento dei Focolari in Italia, “La fraternità universale in cammino: il disarmo possibile”, è stata sollevata la questione della progressiva concentrazione nel settore difesa del gruppo industriale Finmeccanica.

 

Senza mezze parole, al termine dell'incontro dove alcuni parlamentari avevano invocato il rispetto del “principio di realtà” per giustificare la produzione e la vendita delle armi, i delegati per l’Italia del Movimento dei Focolari, Andrea Goller e Rosalba Poli, hanno posto apertamente questa domanda: «Come mai Finmeccanica, controllata per il 30 per cento dal ministero dell’Economia e finanza, sta cedendo progressivamente il settore civile per investire nel comparto delle armi seguendo “l'utopia” di una politica industriale degli armamenti che offre meno posti di lavoro di altri comparti tecnologici, contribuendo, di fatto, ai conflitti armati diffusi a livello planetario con scarsa ricaduta economica sul territorio? Perché non si destinano fondi pubblici alla riconversione dell'industria bellica come pure aveva previsto la legge 185/90? Attendiamo risposte».

 

Il Sistema Paese in azione

Una risposta eloquente si può dire che sia arrivata dal comunicato stampa ufficiale del 5 aprile di Finmeccanica con cui si conferma la notizia, anticipata dalla rivista Città Nuova nell’ottobre 2015, della fornitura al Kuwait di 28 velivoli Eurofighter Typhoon che saranno realizzati in Italia.

 

Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo, parla di «un grande successo industriale per Finmeccanica e l’intero sistema Paese». Un segnale forte da parte del manager proveniente dalle Ferrovie dello Stato, che è riuscito ad assicurare, grazie all’interessamento del nostro governo, il «più grande contratto mai firmato da Finmeccanica».

 

A prescindere da questo nuovo ordinativo, non vi sono dubbi sul fatto che Finmeccanica sia produttrice di armi. Cerchiamo di offrire alcuni elementi di valutazione. Le classifiche internazionali lo confermano. Nel rapporto Sipri 2015 Finmeccanica risulta il nono produttore mondiale di armi, giusto dietro big americani e inglesi come Lockheed Martin e Bae Systems.

 

Con un fatturato di oltre 12 miliardi di euro (quasi 10 del settore difesa) Finmeccanica rappresenta, da sola, un quinto dell’intero fatturato del settore armamenti in Italia, con il settore aeronautico che ha una rilevante componente militare. Nell’ultimo anno l’azienda ha continuato a macinare risultati positivi con il margine operativo (Ebtda) salito di oltre due punti percentuali (dal 12,3 al 14,4 per cento) e un risanamento finanziario ormai completato.

 

La progressiva conversione alla produzione militare

Il percorso verso la “One Company” Leonardo rappresenta l’ultimo tassello di una focalizzazione strategica iniziata nel 1995, quando il suo portafoglio era al contrario di oggi il 75 per cento civile e il rimanente militare.

 

Le ultime cessioni (Ansaldo trasporti venduta ai giapponesi e Fata impianti agli italiani di Danieli) rappresentano una coerente traiettoria, che al graduale ritiro da settori civili, si è accompagnata a uno shopping mirato a rafforzare le attività industriali a produzione militare.

 

Con il “dimagrimento” e la nuova focalizzazione, Finmeccanica oggi è presente in una ventina di Paesi nel mondo con oltre 200 siti (un terzo in Italia e due terzi all’estero), dei quali un centinaio sono stabilimenti. Questo assetto fa sì che dei 47.500 addetti rimasti dopo le ultime cessioni, circa il 40 per cento lavori fuori dall’Italia. 

 

Il piano industriale 2015-2019, presentato agli investitori a Londra a fine gennaio, conferma l’opzione militare anche quando afferma che «Finmeccanica ha ancora bisogno di ribilanciare il proprio portafoglio prodotti verso il civile», per poi, quasi pentendosi, specificare: «sviluppando applicazioni a doppio uso» (cioè militare e civile, ndr).

 

La dualità potrebbe consentire operazioni poco trasparenti. Un Paese soggetto al controllo del traffico d’armi può "bypassare" la normativa comprando, per esempio, un elicottero civile già predisposto per sistemi d’arma. Lo stesso discorso vale per quasi tutte le altre produzioni Finmeccanica fra cui satelliti e aerei. Le stesse partecipazioni a progetti spaziali come ExoMars lasciano sempre intravedere ricadute militari importanti.

 

Gli unici progetti prevalentemente civili riguardano le joint-venture Atr (Aerei da trasporto regionale) e in parte Airbus (la componente militare è valutata da Finmeccanica il 30 per cento del venduto). Eventuali crescite di fatturato sono attese proprio dagli aerei militari.

 

Evidentemente la componente civile consente efficienze gestionali, in termini di complementarietà tecnologiche, produttive e distributive, a sostegno della preponderante componente militare. Qualora questo non accada si provvederà ad ulteriori cessioni e abbandoni. Sono già sotto osservazione alcune attività civili di Selex e di Alenia Aermacchi. Naturalmente con un occhio continuo alla razionalizzazione della forza lavoro.

 

Con la contrazione dei budget della difesa dei Paesi occidentali i principali clienti e mercati espandibili per Finmeccanica riguardano i Paesi dell’Europa dell’Est, i Paesi emergenti come l’India e i Paesi in via di sviluppo dell’Africa e del Medio Oriente.

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