Fini e una destra nuova
“C’è un dovere della memoria di denunciare le pagine vergognose che ci sono nella storia del nostro passato. Si deve capire la ragione per la quale l’ignavia, l’indifferenza, la complicità fecero sì che tantissimi italiani nel 1938 nulla facessero per reagire alle infami leggi razziali volute dal fascismo”. Queste le parole pronunciate da Gianfranco Fini, vicepresidente del Consiglio e presidente di Alleanza nazionale, il 24 novembre scorso in Israele. Non è un giudizio sull’insieme dell’esperienza fascista, che non costituiva l’argomento del suo discorso e che, a mio parere, va lasciata ad altre occasioni, alla riflessione più ampia ed articolata che scaturisce dallo studio della storia e storie personali. È condannato con chiarezza, invece, tutto ciò che, nel fascismo, ha avuto a che fare con “le discriminazioni e le persecuzioni degli ebrei e delle altre minoranze”. Da questo punto di vista, la condanna si estende anche alla Repubblica di Salò. Ma né quest’ultima, né il fascismo sono ridotte solo a questo aspetto; non sono considerati, di per sé, il “male assoluto”, ma solo nella misura in cui hanno contribuito a “tutto ciò che abbiamo visto oggi allo Yad Vashern” (museo dell’Olocausto). Fini in Israele ha fatto ciò che andava fatto, assumendosi una responsabilità per gli sbagli e per le infamie commessi dal regime e dal movimento politico che costituisce una delle radici storiche e culturali più importanti del partito che egli oggi rappresenta. E lo ha fatto delimitando ciò che con sicurezza va respinto ed escluso dall’identità politica che Alleanza nazionale assume oggi. Non ha detto: “lo non c’ero”, non si è chiamato fuori, ma ha parlato da “capo”, impegnato a traghettare definitivamente il suo “popolo” fuori da ideologie e nostalgie incompatibili con i diritti umani e con gli ideali della democrazia. E non ha dato giudizi morali sulle diverse scelte che, allora, vennero fatte dalle persone. È preoccupante che ci sia chi si è sentito tradito da questi giudizi di Fini: forse non si rende ben conto che, così facendo, lega la propria identità politica a ciò che Fini ha condannato: la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Per tutti costoro, è augurabile un pronto recupero di razionalità. Fini ha sottolineato la continuità fra le sue affermazioni di oggi e il processo avviato col congresso di Fiuggi del 1995.Vero; ma bisogna tenere conto che esiste anche una continuità dei problemi. A Fiuggi la cultura politica emergente dai documenti congressuali era largamente incoerente: si lanciava una prospettiva liberale senza che un solo pensatore liberale fosse almeno citato fra le figure di riferimento; l’ispirazione cristiana entrava, ma in chiave prevalentemente di “cultura nazionale”; il fascismo vero e proprio, e la cultura esoterica, facevano ancora la parte del leone nelle letture dei militanti. Non è facile abbandonare una cultura politica radicata: ma è ancora più difficile acquisirne una nuova, come dimostra la perdurante difficoltà anche della sinistra post-comunista. L’obiettivo da perseguire è la costruzione di una nuova cultura politica della destra, che faccia decantare i valori autentici e abbandoni le scorie ideologiche. Il rischio è di impantanarsi sul niente. Non credo che Gianfranco Fini sia stato mosso a questo passo da un mero calcolo di carriera personale, come dimostra la serie di scelte innovative e coerenti che egli ha attuato nell’ultimo periodo, quali il lavoro per la nuova Costituzione europea e la proposta di dare il voto agli immigrati. È chiaro che, col tempo, tutto questo potrebbe tradursi in un vantaggio politico; ma se sarà così, lo sarà perché si è trattato di un atto politico giusto. Anche i suoi avversari interni, ragionando, danno atto a Fini di credere in ciò che ha detto: “Aveva una missione da compiere”; così Storace, presidente della Regione Lazio. Ma prima di portare a casa un vantaggio politico, Fini rischia l’osso del collo; segno che, per lui, la politica non è solo un mestiere. Quanto agli avversari esterni, alcuni hanno colto l’importanza di quanto Fini ha compiuto. Altri, per convinzione o per calcolo, cercano di sminuirla. Fanno male. Bisogna rassegnarsi al fatto che, anche fra i propri avversari, ci sono persone per bene.