Fine delle maggioranze in Spagna, ora è tempo di ascolto

Elettori spagnoli alle urne

L’avevano anticipato l’ultima proiezione del Centro di ricerche sociologiche e gli altri sondaggi: dopo le elezioni comunali e delle comunità autonome del 24 maggio (che hanno interessato 35 milioni di elettori, il 64,94 per cento si è recato alle urne) si produrrà una grande frammentazione sia nei parlamenti autonomi che nei comuni. E questa volta le previsioni si sono avverate. Infatti, nella mappa della politica locale si è verificato un cambiamento che mai nella democrazia spagnola si era visto con tanta evidenza: non ci sono, o quasi, maggioranze assolute. Vero è che il Partito Popolare (Pp), che ha in mano il governo della Nazione, è stata ancora la formazione politica più votata, ma è pure vero che il Psoe (partito socialista) ha accorciato la distanza che lo separava dal Pp. Ma è anche vero che i due partiti hanno attratto poco più del 52 per cento dei voti: 6.032.496il Pp (27,03%) e 5.587.084 il Psoe (25,03%).

 

Il resto è toccato alle cosiddette forze emergenti, di centro-destra e soprattutto di sinistra, che già alle europee si erano affacciate alla soglia politica in modo sorprendente. “Ciudadanos” (C’s) si è rivelata come terza forza politica (1.461.258 di voti), il che fa pensare seriamente alle elezioni generali a dicembre. Da parte sua, “Podemos”, una formazione che tanti paragonano al Siryza greco, pur non essendosi presentata in modo omogeneo in tutto il territorio, ma come appoggio a diverse formazioni locali, ha conquistato peso in comuni come Barcellona e Madrid.  

 

Il cambiamento nella dinamica dei parlamenti autonomi e consigli comunali sarà sostanziale. Una volta che le maggioranze assolute non ci sono più, i tradizionali partiti maggioritari si troveranno nel bisogno di cercare alleanze e accordi con le forze emergenti. In tanti casi, poi, ci sarà la contraddizione che il partito più votato non potrà governare, e anche, come probabilmente accadrà nel caso di Madrid, l’accordo tra i partiti di sinistra non permetterà al Pp di fornire un indirizzo prevalente all’interno del parlamento autonomo.

 

Un annuncio di ciò che stava per succedere si era avuto nella comunità autonoma di Andalusia, dove le elezioni erano state anticipate. Nel suo primo discorso d’investitura, del 4 maggio, la presidente eletta, Susana Díaz (Psoe) intravedeva il bisogno di un nuovo dialogo: «Un dialogo fruttuoso, che ci conduca ad accordi indirizzati a portare avanti la nostra terra e a garantire il benessere di tutti». «É nostra responsabilità –aggiungeva, riferendosi alla composizione della Camera– trasformare questa pluralità in uno strumento utile per affrontare, senza ritardo, i grossi problemi della gente».

 

Il dialogo, in certi casi, non sarà che una strategia tra i partiti tradizionali, Pp e Psoe, per far fronte ai partiti emergenti, e si ridurrà a un semplice: per te il comune, per me l’autonomia. Ma ci auguriamo, come scrivono coloro che danno il benvenuto ai «tempi nuovi», «i nostri politici dovranno imparare a coesistere e soprattutto ad ascoltare i bisogni dei cittadini in un modo congiunto». E sembra che così sarà. Senza maggioranze assolute, i partiti dovranno ascoltarsi, dialogare e cedere nelle loro posizioni per poter governare, con la speranza che da questa nuova dinamica emergano misure più equilibrate ed eque per il bene di un più grande numero di persone.

 

Gli spagnoli hanno messo in gioco più forze politiche e forse chiedono un cambiamento nell’atteggiamento dei politici di fronte al loro avversario: sedersi a dialogare. Non sarà facile. Veniamo da un modello contraddistinto dalla critica impietosa dell’avversario e ora potrebbe esse pure un’opportunità per la vita politica del Pase, anche perché nei partiti emergenti confluiscono tanti giovani, e questi sono più portati al dialogo.

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