Finanziaria: priorità agli ultimi
Rischiosa la scelta del comico, quando si butta in politica. Azzardato il lavoro del ministro, allorché tenta la battuta. Gli effetti, in entrambi i casi, sono spesso imprevedibili. Raramente risultano felici. O forse il ministro dell’Economia Tommaso Padoa- Schioppa aveva solamente l’intenzione di comunicare al Paese un suo nobile convincimento, preso com’è dall’ingrata opera di risanamento dei conti pubblici. Ma quel suo dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, detto in fase di presentazione della Finanziaria 2008, non ha certo suscitato il favore popolare. Visto il livello delle aliquote – tra i più alti d’Europa – è davvero improbabile per qualunque contribuente italiano ritenere che l’esoso prelievo possa configurarsi come una cosa bellissima. Non ne è convinto almeno un terzo degli italiani, che evade pesantemente il fisco, come precisano con amaro realismo all’Agenzia delle entrate. E non ne sono entusiasti molti altri se, su 40 milioni di contribuenti, sono solo 300 mila quelli che dichiarano un reddito annuo superiore a 100 mila euro. Una lotta all’evasione più efficace e permanente costituirà un prezioso aiuto per incrementare le entrate, ma si deve provvedere pure ad una riduzione della spesa pubblica e ad una stabile diminuzione delle imposte. Una prospettiva, che, secondo il presidente dell’Istituto centrale di statistica (Istat), Luigi Biggeri, è già contenuta in qualche misura nella Finanziaria in discussione. Il bonus per le famiglie più povere, gli sgravi dell’Ici, la detrazione per gli affittuari interesseranno quasi 18 milioni di famiglie e farebbero aumentare in media di 155 euro il reddito disponibile familiare , illustra Biggeri. I nuclei più poveri dovrebbero beneficiare di un risparmio di 524 euro, quelli meno in difficoltà di un aiuto attorno ai 100 euro. Un giudizio critico è arrivato invece dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Per lui, la manovra per il 2008 non va bene. E spiega, senza giri di parole, le ragioni: risulta modesto il risanamento dei conti, non frena l’aumento della spesa pubblica, non riduce le tasse ai lavoratori e alle imprese, non aiuta la famiglia e, soprattutto, si limita ad un’elemosina per i più poveri. Draghi approva la riduzione (e le relative semplificazioni) dell’Irap e dell’Ires per le imprese, ma resta perplesso sul taglio all’Ici, un intervento che, a suo dire, non appare coerente con l’obbiettivo di rafforzare l’autonomia tributaria degli enti locali. Ma non è la sola ragione: per il governatore, gli sgravi fiscali sulla casa saranno in buona parte rosicchiati dall’aggravio dell’Irpef per effetto dell’inflazione. Da lui, con sorpresa, una proposta a favore dei meno agiati: È importante individuare strumenti che diano sostegno alle persone in difficoltà economica. Se di povertà parla persino il responsabile del sistema bancario nazionale, ciò significa che la situazione è seria. Sono in effetti 7,6 milioni gli italiani che vivono sotto la soglia della povertà e altri 900 mila ne sono fuori solo per una manciata di euro. In tutto, il 13 per cento della popolazione, cui andrebbero aggiunti poveri a rischio (2 milioni di famiglie) per un ulteriore 8 per cento. La fotografia emerge dal settimo Rapporto su povertà ed esclusione, presentato a metà ottobre dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Zancan. È una parte del Paese che vive con 970 euro mensili per coppia di sposi. È composta da pensionati, famiglie numerose o con un unico, modesto reddito, nuclei con persone con gravi problemi di salute o non autosufficienti, madri sole con figli (fenomeno in crescita), uomini espulsi da casa per la separazione. Nel raffronto internazionale, l’Italia presenta tassi di povertà elevati. Negli ultimi anni le disuguaglianze economiche e sociali si sono accentuate, tanto che solo il Portogallo, in Europa, si trova in una situazione peggiore della nostra. Spagna, Irlanda, Slovacchia e Grecia garantiscono, anche se di poco, maggiori condizioni di parità. L’Italia non è il posto dell’uguaglianza – sostiene mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana -, ma non è nemmeno quello delle opportunità, perché il desiderio di salire nella scala sociale è più difficile da realizzare da noi che altrove. Anzi, per la prima volta dal dopoguerra si registra una ridotta possibilità di migliorare, nel corso della vita, la propria condizione, mentre i figli guadagnano spesso meno del proprio genitore. Ad accentuare le difficoltà concorrono altri due fronti, quello alimentare e quello abitativo. Il primo si va diffondendo ma resta in gran parte invisibile. Le difficoltà – come evidenzia la ricerca dell’Istituto per gli alimenti e la nutrizione presentata il 16 ottobre, Giornata mondiale dell’alimentazione – sono aumentate negli ultimi cinque anni per l’incremento del prezzo di pane e carne, pesce, ortaggi e frutta. Significativo il minor consumo di carne rispetto all’aumento di quello delle più economiche uova. I dati segnalano un aumento dei casi di inappetenza tra gli anziani (anoressia senile), dovuta alle ristrettezze economiche, alle difficoltà di masticazione e di cucinare. L’abitazione resta un’emergenza per le famiglie in condizioni disagiate, anche se il 75 per cento degli italiani vive in case proprie. L’Italia resta in Europa il fanalino di coda nella graduatoria dei Paesi per interventi di edilizia residenziale pubblica, l’unico che non supera il 10 per cento dell’intero patrimonio immobiliare. Negli anni Ottanta, lo Stato ha finanziato la costruzione di 34 mila alloggi all’anno, contro le 1.900 del 2004. Nel frattempo, il mattone è schizzato alle stelle: in sette anni il costo di un affitto è salito a Roma di quasi l’85 per cento, a Torino dell’80, a Milano di oltre il 50 (dati Nomisma, 2007). Il presidente del Consiglio Prodi va ricordando che l’azione di governo – e la sua capacità di innovare il Paese – ha bisogno di distendersi lungo l’arco della legislatura. Le trasformazioni richiedono tempo, siamo d’accordo. Ma il problema è che i meno abbienti riescono con maggiore difficoltà ad aspettare. Da qui, la necessità di tenere conto di loro con priorità nella messa a punto definitiva della legge di bilancio per il nuovo anno. Non tutto è possibile risolvere in un anno, ma è fondamentale che i provvedimenti, pur conte- nuti, camminino nella giusta direzione. È quanto non rileva il Forum delle associazioni familiari. Gli sgravi annunciati sull’Ici non sarebbero indifferenziati nella loro applicazione e verrebbero calcolati sui metri quadrati dell’abitazione invece che sul numero di persone che vi abitano. Un criterio, quest’ultimo, di non facile applicazione al momento, ma verso cui dirigersi con celerità. Incontra perplessità anche la proposta di 150 euro per evidenti motivi, alle famiglie con reddito annuo inferiore a 7.500 euro. Al Forum ricordano che in campagna elettorale fu promessa la cifra di 2.500 euro per ogni bambino sotto i tre anni, e continuano a confidare che, prima o poi, venga attuata. Comprensibile il giudizio del Forum – riconosce il ministro delle Politiche per la famiglia, Rosy Bindi -. Io stessa avevo altre attese e altre proposte. Ma non è giusto minimizzare gli interventi decisi. Non è un fatto di centro-destra o di centro-sinistra, né di prima o di seconda Repubblica. Per la famiglia non ci sono mai state strategie di sostegno. Da 60 anni subiamo le maggiori ingiustizie tributarie e finanziarie, lamenta su Famiglia Cristiana Mario Sberna, presidente dell’Associazione nazionale famiglie numerose (almeno quattro figli). Non parliamo delle tariffe di luce, acqua e gas, dove i nostri consumi, che superano ovviamente lo scaglione sociale, sono equiparati a quelli di un single miliardario . C’è bisogno – afferma Achille Vernizzi, docente di statistica economia all’università Milano-Bicocca – di una coraggiosa politica fiscale a favore di chi in Italia paga più tasse di tutti: le famiglie con figli. BAMBOCCIONI IN FAMIGLIA PER NECESSITÀ Mille euro annui per l’affitto. Un incentivo per favorire l’uscita dal bozzolo dei figli che restano troppo a lungo nel tepore domestico di mamma e babbo. Così la pensa Padoa-Schioppa, che ha definito bamboccioni quei giovani che restano a casa fino a età inverosimili, non diventano autonomi, non si sposano mai. Una famiglia italiana su cinque ospita uno di questi clienti con un’età superiore ai 25 anni. Il fenomeno è in crescita. Nel 1995, le famiglie con un ultraventicinquenne in casa erano il 14,3 per cento, oggi sono il 20,7. I maschi sono in netta maggioranza. Costituiscono il 36,5 per cento di quelli che, con oltre 30 anni d’età, non hanno lasciato la casa dei genitori e non hanno intenzione di farlo entro poco tempo. Le donne, invece, lasciano casa con maggiore facilità: nel 1994 le trentenni in famiglia erano il 27 per cento, adesso il 18. Restare in famiglia è uno stato di necessità, anche se c’è sempre qualcuno che ci marcia. L’ostacolo principale all’uscita da casa è il contenuto livello di reddito: due terzi dei giovani occupati non arrivano a 1.000 euro mensili e, di questi, un terzo non raggiunge i 500 euro. Il bonus di 1.000 euro per l’affitto, secondo gli esperti, non permetterebbe perciò, nel 70 per cento dei giovani, di compiere il grande salto. La condizione di precarietà sul lavoro e gli stipendi contenuti rispetto al livello degli affitti costringe a restare ragazzi anche a 40 e 50 anni. Gli altri Paesi europei offrono sostegni specifici. In Spagna, contributi di 210 euro al mese per l’affitto per quattro anni, rivolto ai giovani tra i 22 e i 30 anni. In Francia, aiuti agli studenti sino a 5.500 euro all’anno per pagare l’affitto. In Germania, per le giovani coppie assegno mensile per ogni figlio (154 euro per i primi tre, 179 dal quarto).