Finanziamento a data da destinarsi

Le occasioni per ong e onlus di ricevere aiuti economici dallo Stato ci sono: cinque per mille, bandi di concorso, progetti dei generi più svariati. Ma se il tutto richiede tempi biblici, c'è il rischio di mandare a monte il lavoro delle associazioni.

Da tempo le Onlus lo fanno presente, ma solo negli ultimi tempi la notizia è finita sulle pagine dei giornali: il terzo settore non ha ancora visto un centesimo del cinque per mille del 2007, e manca all’appello anche la seconda rata del 2006. Il sottosegretario al Lavoro Eugenia Roccella ha assicurato che questa sarà saldata a settembre di quest’anno, mentre le erogazioni per il 2007 arriveranno a fine ottobre. E se è facile bollare la cosa come uno dei tanti ritardi ed inefficienze comuni nel nostro Paese, il rapporto tra terzo settore e fondi pubblici appare spesso piuttosto tormentato.

 

L’Associazione Mondo Unito (Amu) riferisce di aver incassato la prima rata relativa alle dichiarazioni dei redditi 2005 – ossia dell’anno in cui è stato introdotto il cinque per mille – lo scorso 15 settembre. «È un problema che riscontriamo spesso con gli enti pubblici a livello statale – lamenta Stefano Comazzi dell’Amu – mentre la cosa è più veloce in ambito regionale: abbiamo avuto delle esperienze positive di collaborazione con Toscana, Veneto, Liguria, Friuli e provincia di Trento».

 

Uno dei motivi per cui l’erogazione dei fondi va a rilento sono le lungaggini nell’elaborazione dei dati. Le organizzazioni aventi diritto, infatti, non sono poche: negli elenchi definitivi del 2009 si contano 46.361 potenziali beneficiari, tra associazioni di volontariato, enti di ricerca e società sportive. Un fiorire di associazioni che, se da un lato porta un prezioso contributo alla vita sociale, dall’altro offre ghiotte occasioni a chi vuole fare il furbo: «Negli anni scorsi sono state depennate migliaia di organizzazioni – racconta il dottor Antonio Ognibeni, esperto del terzo settore – perché coprivano enti con finalità diverse dall’interesse sociale». Gli elenchi 2008 erano infatti molto più lunghi: 77.015 aventi diritto, quasi il doppio. Taglio drastico dovuto non solo alla scoperta di malintenzionati, ma anche a criteri più stringenti per l’ammissione: sta di fatto che a fare le spese di un proliferare incontrollato di onlus sono quelle associazioni che fanno bene il loro lavoro, trovandosi a spartire la torta con un numero molto più alto di soggetti.

 

Ma il cinque per mille non è l’unico canale di aiuto statale al terzo settore. Per chi fa cooperazione allo sviluppo, ad esempio, esiste l’opportunità di presentare i propri progetti alla Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri. Questi vengono valutati da una commissione tecnica e, se ottengono l’approvazione, sono in parte finanziati dal Ministero. Questa strada è stata seguita dal Cipsi (Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale) e da altre quindici associazioni, per un pacchetto di progetti di educazione allo sviluppo in Italia. Anche loro non hanno ancora ricevuto nulla. La differenza sta nel fatto che il progetto in questione risale al 1992. «È tutto bloccato a causa di un vizio di procedura – spiega Guido Barbera, presidente del Cipsi – che, nonostante le molteplici promesse, non è ancora stato risolto». Problemi di procedura dovuti essenzialmente alle norme e agli iter che sono cambiati nel corso di questi diciassette anni: «Il progetto aveva ottenuto il parere positivo dell’ufficio competente – racconta Barbera – e anche dell’unità tecnica, che all’epoca era all’interno dell’ufficio stesso. Ora a bloccare i fondi è proprio l’assenza formale del parere della commissione tecnica, che è stata separata in seguito dall’ufficio».  L’ammontare dei finanziamenti non erogati è da capogiro: un milione e ottocentomila euro, da dividere tra le quindici associazioni. «Noi del Cipsi aspettavamo fondi per 108mila euro – riferisce il presidente – ma sono stati ridotti a meno di 40mila. Il pacchetto di progetti è stato portato avanti lo stesso, ma con denaro delle associazioni».

 

La mancata erogazione dei fondi lascia infatti aperte due strade: lasciar perdere i progetti, secondo la generale regola di buonsenso che suggerisce di non spendere i soldi che non si hanno, o anticipare la cifra necessaria. «Fortunatamente – osserva Comazzi – Banca Etica concede delle linee di credito agevolato per le associazioni che scelgono questa strada».

 

Il problema, però sta a monte, nell’atteggiamento generale delle istituzioni verso la cooperazione allo sviluppo. «Proprio stamattina – racconta Barbera – il Direttore Generale si è accorto che i mandati di pagamento non vengono protocollati, aggirando così la legge che impone un limite massimo di tempo per dar loro corso». In sostanza non si registra il loro arrivo. Il pagamento non viene quindi effettuato nei termini stabiliti, in quanto questi decorrono dalla data in cui i documenti sono protocollati. «Per ora il direttore ha ottenuto che venga apposto un timbro di ricevuto, ma il problema rimane».

 

Berlusconi, al G8 de L’Aquila, si è impegnato a portare i fondi italiani per la cooperazione allo sviluppo allo 0,52 percento del Pil in tre anni; ma «per ora siamo a meno dello 0,1 percento, ben al di sotto degli altri Paesi occidentali» afferma Barbera. «Nell’ultima finanziaria sono stati stanziati 63 milioni di euro a questo scopo, ma 43 servono per pagare i progetti già in corso: così per il 2010 ne rimangono soltanto 20, una cifra insufficiente».

 

La cooperazione allo sviluppo – e il terzo settore in generale – sono dunque il fanalino di coda in quanto a finanziamenti pubblici? Piuttosto appaiono stretti tra buone intenzioni e prassi: una prassi che si scontra con lungaggini burocratiche, mancanza di denaro e, soprattutto, con una mentalità che fa passare tutto questo come accettabile. O perlomeno come problema non prioritario.

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