Finanza, lavoro e l’appello del papa
Il richiamo di Benedetto XVI sulle vertenze di Alcoa e Fiat sottolinea l'urgenza di nuove regole condivise in campo economico. Intervista con il sindacalista della Cisl, Stefano Biondi.
I caschi da lavoro e le bandiere dei quattro mori a piazza san Pietro è l’immagine che è riuscita a bucare lo schermo. A novembre gli operai sardi del Sulcis avevano cercato di raggiungere l’ambasciata Usa a Roma, in via Veneto: ma robusti cordoni di polizia impedivano l’accesso alla sede diplomatica del Paese dove si trova il centro decisionale della multinazionale Alcoa, che ha deciso di operare migliaia di licenziamenti in Italia. La notizia sta tutta nell’appello esplicito del papa per salvare i posti di lavoro all’Alcoa e alla Fiat. In quest’ultimo caso la questione principale riguarda la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, ma non solo. È ovvio che l’urgenza fatta propria da Benedetto XVI, a pochi mesi dalla promulgazione dell’enciclica sociale Caritas in Veritate, non può che riguardare ogni singola, anche sconosciuta, situazione di crisi. Di fronte al silenzio o all’impotenza di tanti interlocutori istituzionali, ci si rivolge all’autorità morale della Chiesa, capace di stare vicino a chi sperimenta l’abbandono e il dubbio sul proprio destino.
Quali indicazioni concrete si possono leggere nel forte appello che è risuonato a piazza san Pietro? Ci rivolgiamo a Stefano Biondi, della Fiba Cisl, durante una pausa strappata ad una delle tante vertenze che non raggiungono le pagine nazionali dei giornali. «Il papa ha fatto proprio il grido dei tanti esclusi dal lavoro. Quello che sta avvenendo è conseguenza anche della frattura tra finanza e lavoro. La logica prevalente delle grandi società è quella di una continua ricerca della remunerazione del capitale investito, non tenendo in nessun conto il destino dei tanti lavoratori coinvolti. Accade così per l’Alcoa. Si tratta di una tipologia di produzione, relativa all’alluminio, fortemente richiesta dal mercato. Il problema è l’applicazione della regola ferrea che non tollera margini di profitto compatibili o addirittura il pareggio di bilancio, ma persegue continuamente la ricerca di condizioni di crescita dei dividendi degli azionisti. Se non siamo in grado di proporre nuove direttive e regole internazionali, condivise a livello mondiale, le parole del papa continueranno a ricevere un plauso del tutto formale».
L’appello del papa riguarda quindi direttamente il sindacato. Quali priorità ?
«Siamo in una situazione di disagio e conflitto diffuso che trova difficoltà ad essere gestito proprio perché esiste un tentativo ricorrente di delegittimazione del sindacato. E questo avviene nel momento in cui si avverte la necessità di condividere a livello transnazionale uno standard di regole sulla dignità dei lavoratori. Il mercato non riesce a darsi da se stesso un limite. Esistono tante dichiarazioni dei diritti umani che rimangono tali. Ci vuole uno sforzo per far valere una reale responsabilità sociale dell’impresa che dia voce a tutti gli attori coinvolti. Occorre definire cosa, per chi e come si produce. Qual è il guadagno dell’impresa e la sua distribuzione. Quale utilità per l’uomo viene prodotta. Altrimenti ci troviamo di fronte ad una sovrapproduzione indotta per necessità degli investitori che finisce per lasciare solo rifiuti».
Ci sono degli esempi di questo genere?
«Ne abbiamo un caso eclatante in Italia. L’industria dell’auto, incentivata con soldi pubblici, distribuisce ricchi dividenti agli azionisti e spedisce migliaia di lavoratori in cassa integrazione quando finiscono gli incentivi stessi. Importi che potevano essere investiti in infrastrutture di pubblica utilità o nella ricerca di linee produttive alternative».
Di fronte alla competizione globale, indotta dalle regole della finanza, si deve quindi evitare la tentazione di una competizione che raggiunga i lavoratori stessi.
«Certo è la tentazione più forte al momento attuale. Anche perché si è passati dal nomadismo delle merci alla ricerca del basso salario, alla migrazione di coloro che offrono il proprio lavoro a costi infimi, grazie all’assenza di regole e al governo, di fatto, delle mafie. Il caso Rosarno, nella sua drammaticità, è molto più significativo di quanto si creda. Ci sono inoltre vari settori dove esiste formalmente il sindacato, ma è messo nell’impossibilità di agire per uno stato di latente ricatto cui sono sottoposti i lavoratori. In tal modo si finisce per chiamare flessibilità ciò che si rivela solo precarietà. Una fragilità della vita che non può che produrre, alla lunga, conflitti senza mediazione. E questo Benedetto XVI lo ha ben evidenziato nella sua enciclica sociale quando ha dichiarato che occorre “garantire a tutti l’accesso al lavoro, e anzi: a un lavoro decente. Bisogna rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, e combattere la precarizzazione”. Altrimenti il conflitto sociale può assumere forme drammatiche. C’è bisogno di gridarlo dai pulpiti e dai tetti. E questo, come sappiamo, avviene ormai ogni giorno. Ma occorre anche agire concretamente per ridisegnare insieme il sistema delle regole contro l’iniqua distribuzione della ricchezza e del bene lavoro».