I marinai della "Savina Caylyn" in ostaggio da dieci mesi dei pirati somali stanno tornando a casa. Li accolgono comunità rese forti e unite da questa tragedia
«Finalmente liberi!» è la voce commossa del sindaco di Procida, Vincenzo Capezzuto, che annuncia ufficialmente, giovedì, la liberazione dei marittimi della Savina Caylyn di cui cinque italiani e 17 indiani, in ostaggio dei pirati somali. «Sì, dopo dieci lunghi mesi di prigionia e angoscia per le famiglie, dopo la liberazione della prima nave italiana Rosalia d’Amato, avvenuta il 25 novembre scorso, sono ora liberi anche il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera, il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione entrambi di Procida, l’allievo di coperta Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento, il direttore di macchina Antonio Verrecchia di Gaeta, il primo ufficiale di coperta Eugenio Bon di Trieste, insieme ai 17 membri indiani dell’equipaggio – ha continuato il primo cittadino – . Aspettiamo ora con trepidazione il loro arrivo per festeggiare, ma anche per argomentare sulla vicenda in quanto il lavoro sul mare è la principale fonte economica dell’isola».
La notizia già rimbalzata il 21 dicembre si è diffusa attraverso i social network in tutti i comuni italiani dove si aspettata trepidanti la notizia. Giubilo, suoni di campane, cortei per le strade e fuochi d’artificio, immancabili in ogni vera festa. La Savina Caylyn è ora affiancata dalla nave Grecale della Marina Militare che la sta scortando fuori dalle acque territoriali somale, per raggiungere i mari degli Emirati Arabi e rientrare entro dieci giorni, finalmente, a casa. Si parla del pagamento di un riscatto di 11,5 milioni di dollari, ma sia l’armatore Luigi D’Amato che la Farnesina smentiscono, mentre viva soddisfazione è stata espressa dal presidente Giorgio Napoletano e dal premier Mario Monti.
L’isola di Procida, colpita al cuore dalla vicenda perché, ben quattro dei marittimi erano suoi figli, è stata capofila nella protesta e nell’opera di sensibilizzazione sul problema dei sequestri in mare ideati da pirati di difficile identificazione.
L’odissea è stata lunga e difficile da sopportare soprattutto dopo la fiaccolata del primo maggio 2011, a cui era seguito il silenzio richiesto dalle autorità governative. Poi il 10 giugno la telefonata alla moglie del comandante della Savina con la supplica di aiuto. «Abbiamo paura di morire e questo pensiero ci distrugge l’anima e la mente ogni attimo della giornata. La sera ci addormentiamo in preghiera non sapendo se la mattina saremo ancora vivi. Aiutateci, siete la nostra sola speranza», aveva detto Giuseppe Lubrano Lavadera.
Il Papa, informato dal cardinale Sepe, aveva intanto lanciato un appello pubblico per chiedere la salvezza dei marittimi e in agosto, l’articolo della giornalista Trotta sul quotidiano Il Mattino, con la foto choc che i parenti, fino a quel momento, non avevano osato rendere pubblica. La notizia rimbalzata su altri giornali e televisioni, diventa di dominio pubblico e a Procida si costituisce il comitato Liberi subito per sostenere le famiglie e lottare insieme per il rilascio dei propri concittadini.
Il resto della storia di questi ultimi mesi è ancora vivo in tanti: manifestazioni di piazza, preghiere nei santuari, sensibilizzazione degli organi di stampa, appelli alle istituzioni, culminate con la “marcia su Roma” di una folta rappresentanza di cittadini, con in testa il sindaco. La triste vicenda ha coinvolto cuori e menti di tutti gli isolani, ha suscitato sentimenti nuovi, ha visto giovani e adulti lottare insieme, facendo sperimentare la fraternità autentica senza la quale la stessa libertà e uguaglianza perdono di senso. Il trionfo della giustizia, la pace tra i popoli, la sicurezza nel lavoro, la libertà per i prigionieri non sono state in questi mesi solo slogan, ma azioni civili. Le popolazioni di Procida, Trieste, Gaeta, Piano di Sorrento hanno lottato uniti per i fratelli nel pericolo, escogitando tutte le forme di pressione democratica per tenere acceso nel mondo il riflettore su un problema gravissimo che non è ancora particolarmente considerato nelle sedi internazionali, ONU compreso. Nella difesa dei diritti fondamentali di ogni essere umano, il diritto alla vita è il primo ed è il più grande, anche se non esplicitamente scritto.